Come superare barriere radicate nel contesto sociale e storico?

Come superare barriere radicate nel contesto sociale e storico?

Dopo aver partecipato all’ultimo incontro dell’Osservatorio, mi sono venute in mente alcune riflessioni che mi piacerebbe condividere e sulle quali ragionare assieme. Premetto che alcune possono essere delle provocazioni, derivanti dalla mia curiosità di affrontare le mie tesi, come anche quelle opposte.

Vorrei quindi sottoporvi questo pensiero che mi è giunto in questi giorni:

Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’Uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga

Henri-Frédéric Amiel – Frammenti di diario intimo, 12 giugno 1871

Se ci troviamo effettivamente nella società qui anticipata e descritta, in che modo possiamo intervenire efficacemente e perseguire il nostro compito di “portatori di conoscenza”?

In questa guerra, fatta di tante singole battaglie, ci troveremo tra l’incudine ed il martello, cercando di placare da una parte l’arroganza nata dalla troppo poca conoscenza e, dall’altra, derivante dalla conoscenza stessa che troppo spesso dà un senso di spocchiosa onnipotenza. È dunque l’arroganza stessa il nostro nemico?

Ecco quindi che si fa il noto esempio del Medico Burioni, che non concede altro che disprezzo e noncuranza a chi non è alla sua altezza, in un atteggiamento molto dantesco. Un esempio negativo e positivo, dipende da come lo si vede.

Negativo sicuramente, perché a nessuno fa piacere essere trattati come ignoranti (men che mai agli ignoranti!) e ciò allontana le masse dai sempre più mitologici ed inarrivabili scienziati.

Positivo perché in qualche modo rinnega questa dilagante e populistica visione de “l’uno vale uno”, che annulla completamente qualsiasi concetto di meritocrazia, per cui chi ha faticato tanto per accrescere il proprio bagaglio di competenze si vede equiparato a chi un libro non l’ha mai aperto né capito. Ovviamente il pericolo di questi slogan non risiede nel fatto che propinino un’uguaglianza intrinseca tra individui, in quanto tutti appartenenti alla razza umana e per questo aventi lo stesso innato valore (ideale del tutto condivisibile!), ma che porti a pensare che la preparazione, lo studio, l’impegno e la qualificazione siano del tutto inutili perché tanto chiunque può fare qualsiasi cosa e rivestire qualsiasi ruolo al meglio.

Evitando di entrare nello specifico di preferenze politiche (non è questo lo scopo delle mie riflessioni), ritengo comunque opportuno tenere a mente il contesto nel quale nasce e si muove questo neonato Osservatorio, perché è con esso che dovremo fare quotidianamente i conti.

Torno quindi alla mia provocazione iniziale: la divulgazione scientifica fatta in maniera soft, paziente e gentile funziona con un pubblico che tutto sommato è in grado di ascoltare e recepire. Con quelli che non sono in grado di fare né l’una né l’altra cosa, quale può essere un approccio efficace?

Bisogna convincere un fondamentalista religioso che Dio non esiste, o metterlo nelle condizioni di non nuocere?

Bisogna convincere un fondamentalista anti-vaccinista che i vaccini vanno somministrati ai figli, o obbligarlo a farlo?

Bisogna convincere un fondamentalista vegano che la dieta può essere estremamente pericolosa per un bambino, o togliergli la patria potestà?

Bisogna convincere un fondamentalista di CasaPound che il razzismo non ha fondamento, o togliergli il diritto di voto?

Altri spunti di riflessione in merito al pubblico al quale ci rivolgiamo, mi sono derivati da un’altra lettura di questi giorni, di cui riporto i tratti salienti:

Cos’è la suggestione? Non bisogna confondere tra loro suggestione e persuasione. Se cerco di persuadervi, mi rivolgo alla vostra ragione. Tento di ottenere la vostra adesione volontaria e cosciente. Voi vi persuadete solo se riconoscete che ho ragione e solo così date il vostro assenso ai miei argomenti. Se invece cerco di suggestionarvi, devo impiegare un metodo del tutto diverso, devo rivolgermi alla vostra suggestionabilità… Per suggestionarvi, cioè, devo scavalcare la vostra coscienza, la vostra ragione e toccare i centri nervosi inconsci; e per far questo necessitano particolari circostanze, perché bisogna far scomparire, in misura più o meno grande, la ragione e la volontà. Si è quindi suggestionati quando non esiste più alcuna resistenza volontaria.

I condizione: la suggestione normale deve corrispondere ad un sentimento che si trova già nell’inconscio del soggetto e che può produrre l’impulso.

II condizione: è necessario che non vi sia il rifiuto della suggestione. Nei seguenti casi: fatica, emozioni, timidezza, paura, depressione, panico, ecc., la resistenza mentale diminuisce e la suggestione può entrare in azione facilmente

Pierre Daco – Che cos’è la Psicologia

Ecco quindi che viene da chiedersi se le nostre non siano lance spuntate, dal momento che cerchiamo di ottenere tramite l’impiego della ragione, un risultato che forse arriverebbe solo suggestionando un pubblico già avvezzo a questo trattamento, reso vulnerabile da un’esistenza che della fatica, della depressione e della stanchezza mentale fa un modus vivendi. Tuttavia, penso, ciò sarebbe in completa antitesi con il nostro scopo principale, ovvero portare un po’ di luce nell’ombra.

Se queste riflessioni hanno un qualche fondamento, rimane nuovamente da chiederci come poter superare tutte queste barriere ormai tanto radicate nel nostro contesto sociale e storico.

Voi cosa suggerite?

Allegoria dei cinque sensi - Jan Brueghel Il Vecchio
Allegoria dei cinque sensi – Jan Brueghel Il Vecchio

Redazione Fidaf

10 pensieri su “Come superare barriere radicate nel contesto sociale e storico?

  1. Cara Annabella,
    lungi da me l’idea di rispondere alle tue domande, osservazioni e/o provocazioni che in gran parte condivido perché espressioni della realtà infinita della natura umana.
    Penso che nell’adottare l’ideogramma cinese (e nel suo significato) si colga subito l’impostazione positiva, forse idilliaca del rapporto che proponiamo con le altre persone.
    La realtà considera ovviamente anche l’ignorante incaponito, il mulo testardo, il disonesto patentato e una serie di soggetti con cui l’interazione appare sicuramente impossibile. Considero effettivamente difficile riconoscere e rispettare l’alterità di molti soggetti.
    Il nostro approccio è sicuramente positivo verso il genere umano. L’approccio è appunto il DIALOGO, un approccio che nasce da una frase: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Non è poco e, sappiamo bene, che non vale per tutti. Ma, secondo me, vale per tanti sia sul piano cognitivo sia emotivo. Come opportunamente tu hai sottolineato.
    Il punto da te sollevato è centrale, lo riconosco e il tuo articolo è straordinariamente prezioso. Spero che altri intervengano sul tema da te sollevato, con commenti o articoli.
    Grazie per la tua partecipazione e la tua presenza positiva.
    Ciao Luigi Rossi

  2. Lo stimolante contributo di Annabella fotografa le difficoltà di un dialogo proficuo tra singoli, e ancor più tra gruppi di opinione, con diverso background culturale su temi complessi inquinati da interessi e pregiudizi.
    Alle questioni di fondo credo dia una prima risposta il Documento Dialoghi per la costruzione di processi decisionali efficaci che ha avviato i lavori dell’Osservatorio.
    http://www.fidaf.it/index.php/dialoghi-per-la-costruzione-di-processi-decisionali-efficaci/
    Data la natura dinamica del documento invito Annabella a proporre emendamenti migliorativi o integrativi se lo troverà opportuno.
    Intervengo per non lasciare senza risposta le domande verso la fine del testo che possono essere lette come un segnale di “scoramento” per la difficoltà dell’impresa. Sono certo che Annabella non cederà al morbo dello scoramento e rispondo non per lei, ma per altri più inclini a contagiarsi magari proprio da un portatore sano. Ecco la risposta:
    “Secondo me la risposta utile non è il sì no diretto alle domande formulate alla fine dell’intervento. Occorre ricorrere al cosiddetto pensiero creativo laterale che esce dallo schema rigido proposto. Nel caso in esame la risposta è: contrastando con pacatezza e professionalità le sciocchezze degli irriducibili, i portatori di conoscenza in realtà contribuiscono a dare elementi di informazione / riflessione al gran numero di incerti perché non siano vittime di un bombardamento incontrastato di pregiudizi e falsità – strumentali o meno che siano. Per essere ascoltati da chi non è ancora orientato, i portatori di conoscenza debbono costruire un rapporto di sintonia. La posizione di saccente che “aggredisce” i contestatori irriducibili o rifiuta il dialogo con loro. non riscuote l’attenzione profonda e la disponibilità degli indecisi che sono i veri destinatari dell’azione di informazione. Connessa con questa avvertenza è anche l’indicazione che è utile ma non prioritario rafforzare il convincimento di chi già è orientato nella giusta direzione.
    Quanto al tema uguaglianza si sono fatti passi avanti sul piano concettuale dai tempi di Amiel(che era parecchio ipocondriaco e tanto egocentrico da averci lasciato un diario completo della sua malinconica vita). A mio avviso possono essere condivise le posizioni di Amartya Sen.
    Grosso modo i capisaldi sono: garantire uguaglianza delle opportunità e non necessariamente dei risultati (la differenza possono farla le qualità soggettive, l’impegno e l’esperienza, cioè il merito); assicurare la solidarietà per i deboli; riconoscere concretamente il merito. La realizzazione della democrazia nei paesi avanzati, diversa dalla presunta democrazia guidata alla cinese (che pure ha avuto i suoi meriti nello sviluppo di quell’immenso paese) richiede la diffusione dell’informazione. Questo comporta molteplici doveri: investire nella scuola come priorità assoluta; chi si è documentato deve uscire dai santuari e dialogare nel modo giusto (vedi sopra); chi non sa non solo ha il diritto di essere informato, ma ha anche il dovere di informarsi. Del resto nessuno si scandalizza del concetto di scuola dell’obbligo; ne va semplicemente aggiornata l’implementazione.
    Molto delicato il tema del controllo dei canali di informazione / formazione / comunicazione. Decisivo è assicurare: pluralismo (e quindi dialettica); libertà di espressione e di accesso; responsabilità (perché la libertà ha senso solo se si risponde di fronte alla legge di quello che si dice e si fa. Da questo punto di vista secondo me l’anonimato sul web e un problema e sopratutto non capisco l’asimmetria nella responsabilità tra digitale e carta stampata. Ma questo è un altro discorso da affrontare in altra sede. Tonando al tema dialogo: avanti tutta senza esitazioni.

  3. Il quesito che Annabella pone è tutt’altro che di facile soluzione. Soprattutto evoca differenti riflessioni che attengono sia l’ambito della dialettica egemonia/subalternità e sia le strategie di mistificazione che i ceti detentori di potere hanno sempre attuato nel voler perseguire il mantenimento dei propri privilegi: compresi quelli del sapere. Io credo che le apparenti forme della democratizzazione (anche universitaria) e della orizzontalizzazione delle conoscenze rientrino a pieno titolo nell’ambito delle pratiche di gestione/attribuzione del potere che, per sua natura, è esclusivistico e autoconservativo. A tal riguardo il Potere non solo legifera o controlla, ma manipola la conoscenza (del presente, del passato, dello scibile) selezionandone le fonti, filtrandone i contenuti e facendo attenzione a renderli il più possibile rassicurativi, confermativi e rafforzativi del pensiero convenzionale.
    Io non so in che modo possiamo intervenire, come tu scrivi, “nel perseguire efficacemente il nostro compito di portatori di conoscenza”, o se più che portatori di conoscenza dobbiamo pensarci come “mediatori di conoscenze”. Ma so che è possibile agire costruttivamente cercando di avvicinare la conoscenza ai fruitori meno possibilitati a partecipare ai processi inculturativi.
    Per questo (scusatemi per la soggettivizzazione dell’esempio) dallo scorso anno ho inaugurato una “cattedra di antropologia ambulante” (che si ispira alle cattedre ambulanti di agricoltura che dall’Unità d’Italia agli anni ’30 del 900 hanno dato un contributo considerevole a trasformare molti contadini in agricoltori) attraverso cui mi reco nelle periferie rurali a parlare a uditòri “popolari” includenti anziani, contadini, pensionati e “illetterati”. E l’importanza comunicativa che attribuisco a questa iniziativa di disseminazione della conoscenza risiede non solo e non tanto nell’affrontare temi e argomenti complessi (come quelli di memoria o di identità), quanto piuttosto nell’utilizzare un registro discorsivo (antipaternalistico) molto vicino a quello adottato nelle aule universitarie, salvo procedere a uno scioglimento concettuale e terminologico dei contenuti espressi al fine di consentirne l’appropriazione e di estenderne gli ambiti partecipativi.

    P.S. Rilevo nell’osservatorio una grande fucina di pensiero e me ne compiaccio.
    Ernesto Di Renzo

  4. E’ proprio vero che la storia si ripete continuamente e che l’uomo non impara dai propri errori.

    Carlo Fideghelli

  5. Cara Annabella dopo aver letto anche l’articolo pubblicato nell’Osservatorio ecco le mie considerazioni.

    Partiamo da quello che scriveva Amiel nel 1871. Personalmente concordo con Winston Churchill che diceva che la democrazia è un sistema imperfetto ma con tutti i suoi difetti e imperfezioni è il migliore di cui disponiamo. Si tratta di un sistema in cui formalmente i voti dei cittadini elettori pesano tutti allo stesso modo. Ma pesano allo stesso modo soltanto dal punto di vista formale sia nelle democrazie parlamentari che in quelle dirette dell’antica Grecia o quando si ricorre al referendum come per esempio in Svizzera o quando si utilizza il web. Le élite (coloro che hanno più strumenti culturali, finanziari e di potere) quasi sempre riescono a far passare le loro idee sia tramite la ragione che soprattutto attraverso la suggestione. Nei sistemi democratici è tutto più faticoso perché il potere passa attraverso la capacità di convincere soprattutto attraverso la ragione (parlando con il portafoglio) i corpi intermedi (portatori di interessi specifici) e la capacità di persuadere le masse soprattutto tramite le suggestioni. Per questo i processi democratici sono molto faticosi e hanno bisogno di molto tempo e di continui aggiustamenti. Nei sistemi autoritari è un po’ più facile perché il leader ha la possibilità di utilizzare “esplicitamente” la forza sia per convincere (con le buone o con le cattive) i portatori di visioni differenti sia come potente elemento di suggestione (il potere e la forza di per sé stesse suggestionano). Insomma nelle democrazie i voti sono quasi sempre veicolati dalle élite, consolidate o sorgenti come per esempio quelle della rivoluzione francese, della nascita del fascismo, del nazismo, del comunismo, ecc. Però la qualità delle democrazie passa attraverso la capacità di saper coniugare i bisogni e i meriti perché soltanto in questo modo è possibile realizzare società equilibrate e non violente che sono un “bene” strategico sia per i ricchi che per gli altri, a condizione che gli altri possano vivere con dignità e abbiano le opportunità per cambiare il loro stato sociale (ascensore sociale).
    Per quanto riguarda il ruolo dell’Osservatorio ci sono due aspetti: quello strategico e quello tattico. Per quanto riguarda la parte strategica siamo portatori di un nuovo processo per la formazione delle decisioni e per il controllo dei risultati. Sostanzialmente, preso atto che le vecchie modalità non funzionano, proponiamo che le decisioni (della ricerca, della politica, degli esperti) vengano prese, anziché in solitudine dalle élite (esperti, decisori e portatori di interessi), in collaborazione con uno spaccato rappresentativo della società nelle sue varie articolazioni anche quelle non qualificate e ostili. Questo approccio consente di costruire decisioni maggiormente condivise (rispondenti alle esigenze di una più larga platea) sia perché prese con la partecipazione anche dei cittadini “ignoranti” (che spesso hanno bisogni realmente differenti rispetto alle élite) che con una maggiore consapevolezza delle ostilità anche strumentali con cui bisogna fare i conti. Anche la verifica dei risultati delle decisioni (politiche, tecniche, scientifiche), sia rispetto alle esigenze che alle decisioni (programmi, progetti….), va fatta con in collaborazione con tutte le articolazioni della società inclusi gli “ignoranti”. Sul piano tattico, in attesa che vengano cambiati i processi decisionali, bisogna trovare la forza per mettersi dalla parte degli “ignoranti” e anche degli oppositori strumentali per capire le preoccupazioni, le diverse sensibilità, i differenti interessi al fine di per poter elaborare “giudizi” equilibrati che riconoscano le ragioni e le preoccupazioni degli “ignoranti” e smascherino i motivi delle ostilità strumentali. Insomma gli esperti devono lavorare alacremente (attraverso l’ascolto, confronti, dibattiti, convegni, comunicazione) per farsi carico dei diversi punti di vista, sensibilità e interessi, e isolare le posizioni ostili strumentali. Non è un lavoro facile ma un proverbio del mio paese recita “chi ha testa la usi, anche per capire e convincere con pazienza chi non ce l’ha”.

    Lucio

  6. Carissimi,
    complimenti a tutti per gli spunti di riflessione che fate scaturire dai vostri interventi di elevato profilo ed ampio respiro:
    provo a fare qualche ulteriore considerazione (meno elevata + appropriata ad un laureato in Scienze Agrarie):
    secondo me il problema della cattiva informazione/disinformazione o informazione distorta non è dovuto alla presenza dei cd “Ignoranti” che sono le persone più vergini e disponibili ad accogliere le evidenze della Scienza e della Conoscenza ma a pesonaggi/gruppi di potere assai scaltri e istruiti (e tutt’altro che ignoranti) che manipolano la verità per biechi interessi economici e/o di potere.
    Tale criticità è purtroppo favorita e resa possibile dalle istituzioni (policy maker) che dovrebbero essere i garanti dell’applicazione della Conoscenze e della Scienza ed invece vengono utilizzati/si prestano/promuovono ignoranza e disinformazione per portare avanti istanze di consenso/elettorali per la perpetuazione del sistema (molti provvedimenti normativi in campo agro-alimentare sono predisposti ed entrano in vigore nell’imminenza delle scadenze elettorali).

    Pertanto il problema non risiede negli “ignoranti” da convincere ma nell’allontanamento delle male persone “istruite” dal sistema delle decisioni pubbliche e della informazione pubblica.

    salve
    Emanuele Marconi

  7. Ebbene, non posso che essere lieta dei tanti interventi che hanno seguito le mie riflessioni.
    Ho posto una serie di domande, proprio per stimolare delle risposte, che mi sono puntualmente giunte da più ambiti, proprio come speravo.
    Ringraziandovi tutti per aver dedicato tempo ed energie al commentare e riflettere, cercherò di tirare un po’ le somme di quanto è stato detto sinora, sperando così di preparare il terreno per i prossimi dialoghi.
    Se mi sbaglio nell’interpretazione del vostro pensiero, sentitevi pure liberi di correggermi senza remore.

    Si è detto che lo scopo dell’Osservatorio è di portare la conoscenza o mediare la conoscenza verso quella parte della popolazione che è ancora indecisa sulla posizione da prendere e che è ancora incline al dialogo, inteso sia come azione attiva (parlare) che passiva (ascoltare).

    Nel ricordarsi che c’è una fetta più o meno larga della popolazione che non è persuasibile, ma altamente suggestionabile, si è fatto presente che molti attori (politici, economici, lobby, etc.) intervengono in tal senso condizionando le masse in base ai propri interessi.

    Si suggerisce quindi di usare un approccio in parte classico (educativo, ma rispettoso), in parte innovativo (coinvolgimento diretto sin dalle prime fasi) per chi può essere persuaso, mentre continuare con la suggestione per chi è recettivo solo a quella.

    A questo punto mi sorge spontanea una nuova domanda… Rientra nelle nostre intenzioni il tentare di far fare un salto qualitativo a coloro che sono altamente suggestionabili, mettendoli nelle condizioni di attingere alla propria razionalità e quindi diventando potenzialmente persuasibili?

    Dal canto mio posso dirvi quali sono le mie posizioni in merito.
    Sono convinta di essere stata fortunata e privilegiata a crescere in un ambiente culturalmente dinamico e stimolante. Per questo ho sentito la responsabilità di condividere questa mia prerogativa con chi, purtroppo, non ha mai avuto accesso a nulla del genere, o vi ha avuto accesso in minima parte. Per questo principale senso di responsabilità civica e morale, ho cominciato una serie di attività, dall’istituzione di un Comitato di Quartiere, alla successiva realizzazione dell’Associazione DinAmica, all’impegno di fare ripetizioni a ragazze e ragazzi che ne avevano bisogno (spesso con necessità particolari), passando per stesure di un paio di romanzi e l’organizzazione di un gruppo di “portatori di luce”, appunto detto “I Luciferi”.

    Ebbene, con queste premesse, non posso che essere d’accordo con chi ancora vede e sente la speranza di un miglioramento socio-culturale. Certo, ci vuole impegno, ma abbiamo tutti i mezzi per farlo e tirarci indietro sarebbe un gesto poco edificante (com’era il discorso di un grande potere che porta grande responsabilità?…). Come avrete senz’altro capito, la mia visione non è esclusivamente romantica ed idealista, ma molto pragmatica. Per questo ho posto dei quesiti specifici, nell’intento di delineare nella mia mente (o all’interno del gruppo) delle linee guida chiare da seguire per il perseguimento dei nostri intenti.

    Ho imparato tanto sul campo, ma la mia preparazione universitaria consiste in una laurea in Chimica ed in una in Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, per cui sono ben convinta che ci siano persone più esperte e competenti di me in praticamente tutti gli argomenti sinora trattati.

    Vi ascolto.

  8. Credo che i quesiti posti in questa nota siano dei falsi quesiti. Il problema non è se bisogna convincere un fondamentalista religioso che Dio non esiste, o metterlo nelle condizioni di non nuocere. Il problema che pone l’Osservatorio è come prendere della decisioni condivise (che non vuol dire plebiscitarie) che tengano in considerazione anche le istanze dei fondamentalisti religiosi, al pari delle istanze delle altre componenti della società civile. Solo scelte condivise, anche se non perfettamente coincidenti con desiderata divergenti se non opposti, hanno possibilità di essere poi applicate nella pratica.
    Le domande poste da Annabella attengono piuttosto all’approccio di marketing della scienza, che credo debba essere superato.

  9. Caro Andrea,
    se ho ben capito, quindi, secondo te non dovremmo convincere le persone che una data idea presa da esperti sia buona, ma dovremmo coinvolgere i fruitori nella decisione se intraprendere o meno quella strada, anche se sono del tutto privi di adeguata preparazione e cognizione di causa?

    Non pensi che sarebbe prima opportuno mettere le persone nella condizione di fare scelte oculate e poi eventualmente chiedere loro di prendere parte attiva al processo decisionale?

    Personalmente mi preoccupa il fatto che le persone che hanno una competenza ed una preparazione adeguate siano nettamente inferiori di numero a quelle che non ce l’hanno, quindi si rischierebbe di ottenere risultati come il referendum sulla Brexit, perché la decisione è stata messa nelle mani sbagliate…

    O forse tu fai comunque riferimento a degli interlocutori selezionati?

    Ad ogni modo, sono convinta che si debba sempre ascoltare il punto di vista di tutte le parti in causa. Ben diverso è poi chi debba prendere le decisioni definitive su temi importanti.

    Voi che ne pensate?

    Grazie,

    Annabella

  10. Confesso di essere un poco frastornato, dopo aver letto Dialoghi per la costruzione di processi decisionali efficaci e Come superare barriere radicate nel contesto sociale e storico? di Annabella Coluzza con le successive considerazioni dei vari interventi.
    Il tema della democratizzazione delle scelte di grande rilevanza non è certamente nuovo, ma è sempre attuale e quindi dò atto dello sforzo fatto dall’Osservatorio per affrontarlo al meglio. Anni fa mi sono imbattuto nelle medesime ipotesi (care alla Tallacchini e non ricordo chi altri) definite come scienza postnormale, concetto introdotto nel dibattito epistemologico da Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz, i quali l’hanno utilizzato per designare un nuovo modello di scienza da affiancare alla scienza normale e da impiegare quando «i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti» (Wikipedia). A quei tempi ero nella Commissione del Ministero dell’Ambiente e territorio per il rilascio degli OGM e confesso di non averne mai avuto una impressione positiva, soprattutto per la macchinosità e la presunta democraticità (quella che nell’articolo “Dialoghi..” viene chiamata la “simmetria della conoscenza” e che è stabilita a priori); a me paiono i classici argomenti del “politically correct” che noi dovremmo combattere e non assecondare.
    Al riguardo invito a leggere i punti 60 e 61 della Laudato sì; di fronte ai problemi ecologici e alle opposte ipotesi di soluzione, Francesco suggerisce: “Fra questi estremi, la riflessione dovrebbe identificare possibili scenari futuri, perché non c’è un’unica via di soluzione. Questo lascerebbe spazio a una varietà di apporti che potrebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali.”, ma poi aggiunge (n° 61). “…la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione”. Confesso di non essere mai stato tenero con la Laudato sì, ma concordo che questa deve essere la logica anche per noi:
    – promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati;
    – per poi lasciare spazio a una varietà di apporti che potrebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali.
    Cui aggiungo che il nostro compito dovrebbe essere limitato (o quasi) al primo punto, mentre il secondo fa parte delle scelte politiche cui certamente possiamo contribuire, ma soprattutto per aver fornito i risultati del predetto “dibattito onesto”. Con ciò intendo dire che i risultati scientifici, pur nella loro opinabilità (almeno in parte), non possono essere decisi a maggioranza, mentre la loro applicazione-opportunità deve viceversa essere espressione di una decisione “consapevole” della maggioranza (spero si sia notato che consapevole è virgolettato).
    Aggiungo di essere un poco preoccupato quando vedo (sempre in “Dialoghi..”) che per conseguire la “democrazia deliberativa”, ci si limita ai “portatori di interesse” che in realtà sono i rappresentanti di “micro-popolazioni” più o meno ampie in seno a un Paese; mi chiedo dove sia la grande partecipazione del popolo. Pur consapevole dell’iper-semplificazione, alla luce di come si formano oggi le “convinzioni scientifiche” nella gente, rimango del parere che un simile approccio – oltre che estremamente complesso e macchinoso – non contribuirebbe più di tanto alla soluzione dei molti problemi posti dalla scienza (che ripeto non può essere messa sullo stesso piano di sue applicazioni concrete o di una grande opera e del conseguente NIMBY, per questo la democrazia deliberativa mi starebbe bene). Pur senza essere un esperto di comunicazione ecc., vedrei meglio – con riferimento alle diatribe scientifiche – un qualcosa che renda più trasparenti e democratiche le “authority”, ma so che anche questo non è facile. Circa poi la maggiore accettabilità da parte della cittadinanza, non ho molta speranza, proprio perché la scienza si presta a essere vista al centro di complotti di cui i “mass media” si nutrono.
    Per concludere, mi ritrovo molto nella risposta di ieri di Annabella Coluzza.
    Giuseppe Bertoni

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