Certificazioni alimentari e Coronavirus …
I giorni che stiamo vivendo, a livello personale, nazionale e globale, sono giorni che rimarranno indelebili nella nostra memoria e, probabilmente, verranno raccontati sui libri di storia.
Fra le tante difficoltà nelle quali la nostra Nazione, come probabilmente anche altre, si sta dibattendo, c’è certamente anche quella connessa alla garanzia della continuità dell’approvvigionamento alimentare. Tema questo che nella vita ordinaria dei Paesi opulenti come il nostro non è mai apparso un problema, almeno negli ultimi decenni, ma che in questi giorni sta divenendo un argomento di analisi e discussione e sul quale si sta cercando di operare al fine di scongiurare pericolosi rallentamenti o interruzioni.
Il momento è certamente difficile: i consumi di prodotti alimentari si sono improvvisamente ridotti, almeno per quanto concerne il crollo verticale prima e l’interruzione poi dei consumi “fuori casa”, oltre che a causa della rapida contrazione che le esportazioni dei nostri prodotti, agricoli ed alimentari, stanno vivendo.
I trasporti e la logistica sono complessi e comunque non al massimo delle loro potenzialità e l’operatività nelle aziende agricole e nell’industria alimentare non è sempre facile, complice la difficoltà di far lavorare il personale in condizioni di sicurezza e la maggior complicazione di assicurare la continuità della catena di fornitura delle materie prime, dei mezzi tecnici, dei materiali accessori e dei servizi.
Malgrado tutto ciò il comparto agricolo ed alimentare (fin troppo poco se ne parla sugli organi di stampa in questi giorni), sta stringendo i denti e sta facendo di tutto per assicurare quella continuità di lavoro che è garanzia di vita non tanto e non solo per le aziende stesse, ma per tutta la popolazione.
In questo contesto, che certamente deve essere considerato di valenza strategica per la nostra Nazione e, più in generale, per tutte le nazioni, si aggiunge in molti casi un grado di difficoltà in più per le aziende agricole ed alimentari: il mantenimento della validità di quelle certificazioni volontarie che hanno consentito e che consentono di vendere i loro prodotti sugli scaffali della GD e della GDO.
Si tratta di certificazioni volontarie, a fronte di norme quali la ISO 9001 (Sistemi di Gestione per la Qualità), la ISO 22000 (Sistemi di Gestione per la Sicurezza Alimentare), la ISO 22005 (Rintracciabilità nelle filiere agroalimentari), o a fronte di standard privati quali la BRC (British Retail Consortium – Standard Globale per la Sicurezza Alimentare), la IFS (International Food Standard – Standard per gli audit dei fornitori di prodotti a marchio dei distributori), la FSSC 22000 (Food Safety System Certification), la GlobalGAP (Sicurezza Integrata in Agricoltura), così come a fronte di norme o regolamenti quali i Regolamenti comunitari per le produzioni Biologiche o per quelle Integrate, o per le produzioni di prodotti a Denominazione (DOP, IGP, STG). Senza poi dimenticare norme e standard legati alla sostenibilità ambientale e sociale.
Un mondo di norme, standard e regolamenti che portano le aziende, in maniera volontaria, a sottoporsi ad audit periodici (almeno annuali) di terza parte che, se forniscono esito positivo, consentono alle aziende stesse di ottenere certificati di sistema e/o di prodotto che possono essere “spesi” da un punto di vista commerciale al fine di assicurare al mercato la qualità dei prodotti realizzati, la loro sicurezza alimentare, la loro conformità alle norme di legge, come la loro conformità a specifici disciplinari di produzione.
Il mondo della Grande Distribuzione e della Grande Distribuzione Organizzata, negli ultimi 20 anni, ha molto spinto la filiera agroalimentare in questa direzione. E questa spinta, ha certamente contribuito alla crescita tecnico/culturale delle aziende ed all’incremento della loro attenzione a realizzare prodotti sicuri, legali e della qualità promessa.
Un approccio alla produzione agricola ed alimentare che segua le linee di indirizzo ed i requisiti delle norme sopra richiamate, non può che essere una forma di autodisciplina per le aziende e di viatico per l’ottenimento di prodotti progressivamente migliori.
Non si può negare peraltro, che in alcuni casi, queste certificazioni siano state delle vere e proprie forme di “barriera all’ingresso” in alcuni mercati, per chi non ne era dotato. E non si può sottacere che alcune catene della GD e della GDO abbiano in alcuni casi sfruttato la carenza di certificazioni da parte di alcuni produttori, per spuntare prezzi più bassi o, in alcuni casi stracciati.
La crisi sanitaria nella quale stiamo vivendo, però, ha causato e sta causando lungo la filiera alimentare un’ulteriore complicazione, rispetto al tema delle certificazioni: le aziende con certificati in via di scadenza infatti, si trovano a dover affrontare le verifiche periodiche in un momento di difficoltà interna oltre che di complicazione negli spostamenti da parte del personale degli Organismi di Certificazione incaricato dell’esecuzione degli audit.
Ciò sta comportando un approccio diversificato tra i diversi standard e norme. Per alcuni di questi standard è infatti possibile prevedere, qualora ci si trovi nell’impossibilità di far accedere personale esterno nelle aziende, l’esecuzione di audit (anche parziali) a distanza, utilizzando gli strumenti informatici disponibili per l’esecuzione delle riunioni virtuali; durante questi audit a distanza è possibile analizzare e verificare tutti gli aspetti almeno documentali che sono comunque una parte importante di un audit (es.: registrazioni di processo, sistemi di rintracciabilità, gestione dei controlli di prodotto, ecc.); normalmente in questi casi, si prevede che debba essere effettuato un audit “on site” nell’arco di alcuni mesi (3-6 massimo) al fine di completare l’iter di verifica e dare in questo modo continuità, ancorché con un approccio emergenziale e straordinario, alla validità dei certificati emessi.
Per alcuni standard invece, questo approccio che va incontro ad una situazione di assoluta novità per tutti, non è stato fino ad ora approvato. La conseguenza di questa scelta è e sarà (almeno nel breve periodo) che, per le aziende certificate a fronte di questi standard più “rigidi”, qualora non potranno far accedere i valutatori esterni per la conduzione degli audit periodici, alla scadenza del certificato, lo stesso non verrà rinnovato o prorogato.
L’aspetto curioso è che, gli stessi detentori di questi standard privati che hanno deciso (almeno fino ad oggi) di seguire un approccio più “rigido”, nelle comunicazioni che stanno trasmettendo agli operatori, suggeriscono che i clienti che stanno acquistando da aziende certificate siano “flessibili” e continuino ad acquistare i prodotti anche alla scadenza dei certificati stessi.
Ora, ribadendo il fatto che le certificazioni come quelle di cui stiamo trattando, sono e rimangono volontarie, è indubbio che la scelta di rigidità che alcuni detentori di standard hanno fatto potrà avere delle potenziali ricadute commerciali negative su quella fetta di aziende il cui certificato va in scadenza nel periodo di crisi attuale.
A parità di tutto, queste aziende potrebbero dover affrontare una sperequazione commerciale sul mercato rispetto ai loro concorrenti che, per puro caso, hanno certificati che vanno in scadenza in un periodo diverso e che quindi, in questo momento non sono sottoposti a questa preoccupazione supplementare.
La speranza è che gli attori commerciali della filiera agroalimentare, in particolare quelli rappresentati dalla GD e dalla GDO, non usino queste problematiche aggiuntive per creare ulteriore o maggiore competizione tra i produttori che si vedrebbero in alcuni casi esclusi dal mercato o spinti ad accettare una strategia di prezzi di vendita al ribasso che non potrebbe far altro che acuire i già molti problemi che l’intera filiera sta vivendo in questa fase.