Cambiamento climatico: il suo più grande alleato è il populismo
Sono 30 anni che gli scienziati lanciano segnali d’allarme sul cambiamento climatico. Questi segnali sono diventati sempre più insistenti, come dimostra l’ultimo rapporto dell’IPCC e le notizie che ci arrivano dalla COP24 a Katowice. Credo che normalmente la relazione tra scienza e politica debba essere dialettica e non intrusiva, cioè la scienza non può dettare l’agenda politica. Tuttavia siamo arrivati a un punto in cui non si può evitare una forte presenza degli scienziati in politica. Questo per due motivi: la politica non ascolta, è affetta da short-termism, da miopia, nonostante che la minaccia del cambiamento climatico non sia ormai più a lungo termine, ma a breve termine; le azioni che vengono intraprese devono essere guidate da forti prove, non possono essere improvvisate. Gli errori ora diventano imperdonabili.
Purtroppo il quadro politico ha cinque caratteristiche straordinariamente coniugate tra loro, forse per la prima volta nella storia: (a) l’assenza di progetti concreti (non vedo il cambiamento climatico nel dibattito politico italiano); (b) improvvisazione e dilettantismo; (c) propensione alla decrescita, almeno per una parte della rappresentanza politica (ma forse questa è una caratteristica squisitamente italiana); (d) l’illusione in soluzioni semplici per problemi terribilmente complessi; (e) la frammentazione (dalla Brexit a Barcellona), che va in senso opposto a quella cooperazione internazionale che è oggi quanto mai necessaria…