Bonifica Umana

Bonifica Umana

I recenti avvenimenti hanno riportato alla memoria la secolare lotta alla malaria nelle aree risicole. Dopo una lunghissima storia di bandi e grida che perseguitarono, fin dall’inizio, la coltivazione del riso, per allontanarla dai centri abitati, la fiducia nella nascente cultura scientifica, che permeò il XIX secolo, diede i suoi frutti. Nel 1912 la Stazione Sperimentale di Vercelli organizzò il IV convegno internazionale sulla risicoltura, del quale furono pubblicati gli atti. Il senatore prof. Camillo Golgi tenne un tanto memorabile quanto polemico intervento sul contenimento della malaria. Forte degli studi effettuati durante l’ultimo decennio dell’800 (Laveran, Celli, Koch, Grassi) che rivelarono il ciclo vitale del plasmodio della malaria, ed il ruolo della zanzara anofele nel diffondere la malattia, espose i suoi suggerimenti, citando anche gli studi epidemiologici appena pubblicati.

La bonifica umana

Oltre alla bonifica idraulica dei terreni per ridurre la presenza della zanzara anofele, vettore della malattia, che comunque non fu risolutiva, fu suggerita la cosiddetta “bonifica umana”. Per evitare la diffusione del plasmodio, che riusciva a trasferirsi nelle zanzare solo nei periodi delle febbri ricorrenti del soggetto malarico, fu reso obbligatorio l’isolamento dei malati febbricitanti in camere dotate di reticelle su porte e finestre. Fu resa obbligatoria l’assunzione di chinino, che riusciva ad eradicare il plasmodio nella maggioranza dei malati. Si era discusso anche della profilassi nei confronti dei soggetti sani, ma fu giudicata difficilmente realizzabile. Le “costrizioni” sollevarono molte polemiche da parte dei difensori della libertà individuale dei malati. Golgi rispose lodando lo studio epidemiologico di Adelchi Negri, svolto in alcuni comuni di Piemonte e Lombardia, tra i quali Casalpusterlengo (i ricorsi storici), che dimostrò incontrovertibilmente l’utilità della “bonifica umana”.

Da 400 casi a 19

Il successo della strategia fu misurato anche nel calo dei ricoveri da malaria nell’ospedale di Vercelli, sceso dai 400 nel 1901 a 19 nel 1910. Tale traguardo fu anche dovuto all’uso della coercizione della libertà di movimento, accettata dalla popolazione con qualche mugugno da parte dei “NoVax” dell’epoca, ma senza ricorsi all’autorità giudiziaria. Successivamente in tempi brevi la malaria scomparve dalle plaghe risicole di Piemonte e Lombardia, ben prima che l’OMS nel 1985 dichiarasse l’Italia Paese libero dalla malaria, dopo che l’uso del DDT bonificò anche la Sardegna. “Historia magistra vitae” dicevano gli antichi romani: basta conoscerla e trarne i dovuti insegnamenti.

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Redazione Fidaf

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