Biotecnologie: sterile polemica o dialogo costruttivo?

Biotecnologie: sterile polemica o dialogo costruttivo?

Il Corriere della Sera del 10 dicembre scorso riporta la notizia del successo dell’applicazione dell’editing genetico per curare la talassemia  su di un paziente, successo ottenuto nell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, sotto la guida del Prof. Locatelli. Il quotidiano riferisce che “…Per realizzare questo lavoro di precisione viene utilizzata una forbice molecolare. Con un taglietto viene inattivato il gene responsabile del blocco della produzione della catena gamma (BCL11A). La correzione fa ripartire il sistema dell’emoglobina fetale che in certe persone persiste anche da adulti e le protegge [dalla talassemia N.d.R.]. È l’applicazione della tecnica Cispr/Cas9 che ha portato il premio Nobel per la chimica 2020 alle ricercatrice Jennifer Doudna e Emanuelle Charpentier”.  [in merito al Nobel 2020 vedi anche qui].

Fin qui la notizia sembra essere quella di un eccellente successo scientifico conseguito dalla ricerca medica italiana, che ha premesso di ottenere un reale beneficio per la qualità di vita di un paziente, non più costretto a trasfusioni di sangue con cadenza settimanale. Ma suscita impressione anche il fatto che questa rivoluzionaria applicazione biotecnologica non abbia sollevato, a quanto mi consta, opposizioni da parte di settori antiscientifici dell’opinione pubblica. Si è quindi ripetuto quanto si è già verificato nel 2015 (vedi qui), quando nel Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia è stata trapiantata ad un bambino affetto da epidermolisi bollosa giunzionale (JEB) pelle generata in laboratorio a partire dalle sue cellule staminali modificate con terapia genica (sempre CRISPR/CAS9). Nemmeno in quel caso, infatti, si sono levate voci contro le manipolazioni del genoma umano. Probabilmente in questo caso l’opinione pubblica riconosce le possibilità terapeutiche aperte dagli avanzamenti scientifici ed intravvede potenziali benefici di grande portata.

Le stesse tecniche di editing del genoma mediante CRISPR/CAS9 sollevano invece fiere opposizioni da parte di alcune organizzazioni della società civile quando sono applicate alle piante coltivate, anche se i benefici potenziali risultano evidenti, senza che siano emersi pericoli o danni potenziali per l’ambiente e per la salute umana. Difatti sono state già ottenute – e molte altre potrebbero essere ottenute in un futuro relativamente prossimo – molte varietà di piante coltivate (per es. di vite), che conservano inalterate le caratteristiche qualitative ed organolettiche dei loro prodotti (per es. il vino), ma che al contempo sono meno suscettibili a patogeni e parassiti, meglio adattate a condizioni ambientali sfavorevoli, meno dipendenti da apporti chimici ed energetici esterni. In altre parole, genome editing e CRISPR/CAS9 potrebbero mettere a disposizione degli agricoltori le varietà di cui servono per permettere la transizione verso la sostenibilità dei sistemi agroalimentari. E il rifiuto, seppure opposto da una minoranza della società, si è presto tradotto in una regolamentazione europea confusa e dilatoria, che per ora ha impedito di fatto l’adozione delle nuove varietà  già ottenute e ostacolato i progetti di ricerca che prevedono l’applicazione genome editing.

Non credo sia qui necessario ribadire l’urgenza di introdurre metodi sostenibili di protezione delle piante coltivate da avversità biotiche e abiotiche, esigenza sottolineata con forza anche dalla FAO attraverso la celebrazione dell’Anno Internazionale della Salute delle Piante (vedi anche qui). Per rimanere all’esempio della vite – ma sarebbe facile trovare esempi analoghi per altre colture – i metodi attuali di controllo delle fitopatie, anche di quelli ammessi ne sistemi di agricoltura biologica, come i prodotti a base di rame, stanno mostrando evidenti problemi di compatibilità ambientale (vedi per es. Cesco et al., 2019), rendendo sempre più pressante la necessita di sviluppo di tecniche alternative.

Si sta quindi ripetendo per l’editing del genoma quanto già accaduto per gli OGM: via libera per l’uso diretto umano a fini terapeutici (vedi per esempio insulina), opposizione per l’uso in agricoltura e conseguente bando dai nostri campi. Due pesi e due misure difficili da spiegare con gli strumenti della logica.

Come afferma Sarah Garland su Scientific American: “La ricerca e lo sviluppo sulla genetica vegetale sono oggi molto più avanti dei primi OGM negli anni 90. Nuove tecnologie stanno ridefinendo e rivoluzionando l’ingegneria genetica in modo che non avremmo nemmeno potuto immaginare solo 10 anni fa. Continueranno ad emergere innovazioni che non corrispondono a vecchie categorie e congetture. Al contempo, l’agricoltura biologica su larga scala ha molto più in comune con l’agricoltura convenzionale di quanto suggeriscano le fattorie caratteristiche dipinte sulle confezioni nei negozi alimentari. Dobbiamo smantellare le narrazioni polarizzate e ingannevoli relative sia agli OGM che ai metodi biologici di produzione: la retorica divisiva ostacola il progresso che è urgentemente necessario per creare un futuro più sostenibile”.

Dopo esserci lasciati sfuggire negli ultimi anni dello scorso secolo le opportunità offerte dalla ingegneria genetica, sembra ora il tempo di abbandonare le sterili polemiche ed avviare un serio e costruttivo dialogo. Ci sembra quindi urgente chiedere che i portatori di interesse siano coinvolti con metodologie partecipative nella decisione relativa all’applicazione di questa innovazione nella agricoltura europea. Le indicazioni dell’Osservatorio sul dialogo nell’agroalimentare, promosso dalla FIDAF e da altri soggetti della società civile (vedi qui), possono essere di grande utilità in questo rispetto.

Redazione Fidaf

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