Biocarburanti e allevamenti animali
Gli antichi popoli cacciatori hanno il cane come compagno di caccia, i pastori la pecora che fornisce lana, latte e carne, i popoli agricoltori hanno i bovini da lavoro e i costruttori di città il maiale che si nutre dei residui dell’alimentazione umana e in ogni caso si cerca sempre di salvaguardare la non competizione tra l’alimentazione dell’uomo e quella dell’animale. Per quanto riguarda il maiale, animale da carne, nelle società silvo-pastorali l’animale serve per sfruttare i frutti del bosco e delle selve, mentre nelle società agricole tradizionali e soprattutto in quelle urbane il maiale è prevalentemente uno spazzino, nutrito con gli scarti e gli avanzi dell’alimentazione umana, integrati al più con il pascolo e solo nell’ultima fase d’ingrasso prima della macellazione questo animale può ricevere una piccola quantità di granaglie.
Nella prospettiva dello sfruttamento dei residui dell’alimentazione umana, durante il Medioevo e con l’inizio di un artigianato alimentare i maiali sono alimentati con i sottoprodotti del caseificio o della molitura dei cereali, con sistemi che in Italia permangono fino a metà del ventesimo secolo e che hanno anche sorretto produzioni salumiere tipiche. Non vi è da stupirsi che la moderna società tecnologica ha sviluppato un’industria dei cereali, delle patate, degli zuccheri, degli alcoli con la produzione di molti sottoprodotti che quasi come unica utilizzazione hanno l’alimentazione del maiale, come di altri animali, e lo stesso sta avvenendo per la nuova industria dei biocombustibili (biofuel) ottenuti da biomasse di cereali (grano, mais), bietola, canna da zucchero, oleaginose ecc.
Biocombustibili o biocarburanti sono il bioetanolo, il biodiesel, il biometanolo, il biodimetiletere, gli idrocarburi sintetici, il bioidrogeno, gli olii vegetali e il biogas. Provenendo da risorse rinnovabile i biocombustibili dovrebbe essere disponibili senza interruzione, ma hanno lo svantaggio di togliere terreno agricolo usato per la produzione di alimenti; la produzione di biocarburanti avanzati è generalmente più costosa rispetto ai biocarburanti attuali; inoltre il rapporto tra energia necessaria per produrli e quella che risulta disponibile non è sempre favorevole. In un calcolo dei costi – benefici dei biocombustibili molto spesso non si considera che come sotto-prodotto di produzione generano materie che con vantaggio entrano nell’alimentazione degli animali, soprattutto maiali, bovini e avicoli, come invece risulta da diverse ricerche. Bisogna infatti ricordare che i processi di produzione dei biocarburanti non utilizzano tutte le quote costituenti dei vegetali e diverse ricerche, tra cui quelle di Popp e collaboratori (Popp J., Harangi-Rákos M., Gabnai Z, Balogh P, Antal G, Bai A. – Biofuels and Their Co-Products as Livestock Feed: Global Economic and Environmen-tal Implications – Molecules 2016, 21, 285), dimostrano che l’industria di produzione di biocarburanti ha un importante effetto positivo nella fornitura globale di mangimi per gli animali e sull’uso del suolo per la coltivazione di materie prime. Per esempio, l’industria mondiale dell’etanolo produce quarantaquattro milioni di tonnellate di mangimi di alta qualità, mentre i coprodotti derivanti dalla produzione di biodiesel hanno un impatto moderato sul mercato dei mangimi, contribuendo a produrre solo tra gli otto e i nove milioni di tonnellate di farina proteica all’anno. Per questo la sostituzione dei tradizionali ingredienti dei mangimi con i co-prodotti derivati dalla produzione di biocarburanti rappresenta una preziosa componente del settore dei biocarburanti e del mercato globale dei mangimi con importanti implicazioni sull’uso del suolo agricolo e delle emissioni di gas serra. In particolare, secondo Popp e collaboratori, l’uso di co-prodotti generati da cereali e semi oleosi può ridurre l’uso di suolo dall’11% al 40%. Attualmen-te la percentuale di terre coltivate utilizzate per i biocarburanti è del 2% circa (30-35 milioni di ettari), ma aggiungendo i co-prodotti sostituiti a cereali e semi oleosi, la terra necessaria per la coltivazione di materie prime diminuisce all’1,5% della superficie coltivata globale.