In Italia a partire dal 2003 le oleaginose hanno subito una contrazione significativa. Una drastica riduzione delle superfici destinabili a semi oleosi, sotto il profilo agronomico-ambientale, ha comportato una inaccettabile semplificazione degli avvicendamenti colturali comportanti delle serie ripercussioni sui sistemi colturali più tipici.
Al contrario, tra le misure agro-ambientali è oggi d’obbligo per coloro che hanno a cuore la conservazione della fertilità del terreno l’avvicendamento colturale resta una scelta agronomicamente valida. Vale la pena ricordare inoltre che le tre oleifere si adattano a produrre normalmente anche adottando itinerari agronomici low input e di precisione. La soia ad esempio non necessita di specifici apporti azotati, mentre il girasole sopporta bene la riduzione delle lavorazioni preparatorie del terreno e il colza, specie con i nuovi ibridi, a rapido accrescimento iniziale, è in grado di assimilare importanti quantità di nitrati preservando la rizosfera da fenomeni di lisciviazione.
L’origine storica della nostra dipendenza commerciale nel comparto delle oleo-proteaginose inizia dagli anni ‘60 articolandosi tra alterne vicende fino ad arrivare verso la metà del primo decennio del nuovo secolo. I corsi internazionali, in particolare della soia, si sono impennati accentuando i timori degli agricoltori europei che fin da allora si sentivano condizionati da un mercato sul quale non avevano alcuna presa. Esisteva un regime di vero e proprio oligopolio da parte di Stati Uniti, Brasile e Argentina che rappresentavano l’80% delle produzioni mondiali, con la predominanza quasi assoluta degli USA nel settore della triturazione. Questo sfavorevole scenario ha sempre rappresentato un serio problema per l’Europa, importatrice netta di questo prodotto. In una tale situazione commerciale, sembrava quasi che le risorse proteiche dell’Europa fossero lasciate senza un futuro.
Risulta oggi indispensabile ridurre questo pesante stato di dipendenza. Da un lato facendo riacquistare spazio alla coltivazione delle proteaginose, soia in primis, dato che si è venuta significativamente contraendo e dall’altro attraverso un’azione di diversificazione delle fonti proteiche vegetali.
Interi segmenti dell’industria alimentare si sono specializzati nella produzione di alimenti contenenti proteina vegetale. Il progresso nella produzione di integratori a base di soia ha permesso l’ottenimento di prodotti che possiedono funzioni diverse: emulsionanti, leganti, strutturanti. Il successo nell’utilizzo di questi composti vegetali è cresciuto in ragione del loro relativamente basso costo.
In soia la proteina assieme ad altri composti a carattere “nobile” sono studiati anche per la loro funzione nutraceutica, ovvero, taluni sostengono che se vengono assunti regolarmente con la dieta agiscono nell’insorgenza di alcune patologie. I cosiddetti nutraceutici derivano dal metabolismo principale della pianta (proteine) o dal metabolismo secondario come nel caso di isoflavoni e saponine.
Oggi la soia va considerata dunque come una vera e propria biofabbrica in grado di fornire accanto alla classica proteina di elevato valore biologico anche dei prodotti nutraceutici. Queste sostanze sono state già ampiamente studiate per la loro funzione, resta dunque da definire quali varietà diffondere in coltura (ad alto e/o a basso contenuto) dato che gli isoflavoni possono avere azione favorevole nell’insorgenza di talune patologie mentre altri possono favorire l’insorgenza di cancerogenesi.
Casa e Marina a Castiglioncello, Odoardo Borrani