Amministrazioni Comunali: ricostruire, non distruggere
Il 5 giugno voteremo per il rinnovo delle Amministrazioni di 1.300 Comuni, di cui 7 Capoluoghi di Regione e 26 di Provincia. E’ necessario ragionare, per controllare il piacere di abbattere coloro che si sono collocati su effimeri piedistalli e per non alimentare ulteriormente la convinzione che tutti coloro che detengono il potere ne abusino o siano disonesti. Aiutiamo la magistratura a mandare in galera i corrotti, ma non atteggiamoci a Catoni integerrimi.
E ricordiamo, soprattutto, che non v’è una Cartagine da distruggere, ma un Paese da ripulire e rilanciare. E va rilanciato mentre continuiamo a viverci e ad aver bisogno di buoni servizi, che soltanto i Comuni, le Regioni e lo Stato possono fornire.
Ragioniamo, per capire perché è potuto accadere lo sfascio morale che ci attanaglia, senza abbandonarci alla disperazione e ricordando che già Tommaso Moro – quasi cinque secoli fa – affermava con disincanto che la cosa pubblica è una “congiura di ricchi, i quali sotto il nome e il pretesto dello Stato non si occupano che dei propri interessi”.
Il 5 giugno guardiamo alla realtà delle amministrazioni municipali, per renderci meglio conto di quello che sta accadendo. Fino a qualche decennio fa, gli amministratori di sinistra e di destra si riconoscevano dal linguaggio e dal vestito. Si individuavano a colpo d’occhio i frequentatori delle campagne e delle officine e quelli dei salotti. Oggi i Consigli Comunali sono diventati essi stessi salotti e luoghi di incontro tra persone omogenee, spesso dominate dalla burocrazia.
L’economia di tante aree è ancora legata all’agricoltura : ma quanti lavoratori, quanti tecnici agricoli, quanti imprenditori del settore primario sono stati eletti nelle ultime tornate elettorali ?
Nei Consigli Comunali prevalgono ormai politici a tempo pieno, impiegati e pubblici dipendenti, i quali beneficiano di permessi retribuiti e periodi di aspettativa, senza avere le preoccupazioni di chi ha un’azienda o uno studio professionale da gestire.
Le classi “deboli” – coltivatori, operai, artigiani – sono state sostanzialmente espulse, mentre quelle imprenditoriali si sono tirate indietro, non avendo tempo da perdere.
Ciò ha comportato liste elettorali – di tutti i partiti – ormai simili, per cui il voto non è più richiesto e dato in funzione della classe sociale, della condizione censuaria, del livello culturale, del settore economico di appartenenza dei candidati e degli elettori, bensì dei favori e dei benefici sperati.
Ai cittadini espulsi – sostanzialmente – dalla politica attiva non è rimasto che “astenersi”, soprattutto quando non possono “mercanteggiare” con il politico : per la pensione di invalidità, la raccomandazione per il “posticino”, il trasferimento dalla sede disagiata o comunque non gradita; l’appalto, se trattasi di imprenditori.
In sintesi : sempre meno elettori pensanti e sempre più elettori clienti.
Non ci è consentito, però, limitarci a criticare; molti, anzi, dobbiamo fare autocritica, per comportamenti che si sono sostanziati in rapporti impropri con la classe politica e amministrativa.
Una degenerazione politica – ma, forse, ancor più culturale – dalla quale urge uscire, con il determinante contributo – oggettivo e puntuale – della magistratura, senza troppo distinguere tra chi ruba per finanziare l’attività del proprio partito da chi svolge attività politica per rubare.
Senza interrompere la continuità delle attività delle Istituzioni, occorre rigenerare una cultura politica pulita e sana. Dobbiamo riappropriarci del ruolo che compete all’Italia legale.
Nelle nazioni democratiche – diceva Tocqueville – ogni generazione è un popolo nuovo. Alla prossime elezioni adoperiamoci affinché il “popolo vecchio” – quello dei corrotti, dei corruttori, dei non disinteressati sostenitori delle mezze figure detentrici del potere – sia costretto a farsi da parte, per dare spazio al popolo nuovo : ai giovani, ai professionisti, agli imprenditori e ai lavoratori onesti, a coloro che sanno coniugare trasparenza, responsabilità, efficienza.
Ragioniamo, per realizzare non solo obiettivi di pragmatica immediatezza, bensì aspettative di largo, duraturo respiro ; diamo il nostro contributo, comunque, per evitare che i disonesti e i catastrofisti – di professione o per carattere – prendano il sopravvento su quanti sono impegnati a realizzare un positivo e concreto rinnovamento, mediante controlli puntuali e penetranti sulle attività della pubblica amministrazione, a tutti i livelli; disciplina adeguata per appalti senza trucchi; trasparenza per le spese dei partiti e dei candidati.
E, intanto, calma, per valorizzare con razionalità le ricchezze umane, intellettuali, culturali che sono state soffocate dalla politica corrotta, con l’acquiescenza di molti Catoni dalla non limpida condotta.
Ottima foto scattata da Nicola Santoro, sulla gestione amministrativa e politica italiana gravata,come è, da un tasso molto alto di illeciti e di corruzione che ne impedisce il regolare ed efficiente funzionamento a favore degli amministrati. Purtroppo è un male antico che ci portiamo dietro da tempo, a partire dalle raccomandazioni e dai favoritismi per “gli amici”, da cui pare non riusciamo a fare a meno,per arrivare alle pratiche corruttive e delinquenziali di cui purtroppo sono piene le cronache.La corsa ad occupare cariche gestionali sembra tesa più a ottenere vantaggi personali o di parte, che volta al servizio pubblico. Ciò non esclude, come dice Santoro, buone e ottime situazioni gestionali.Non bisogna fare di ogni erbe un fascio. Ma è vero che la condizione generale impedisce di ottenere quei risultati che sarebbero alla nostra portata e a cui sarebbe auspicabile tendere con una maggior attenzione al rinnovo delle cariche amministrative e politiche.
Grazie Emanuele per il tuo bel commento all’articolo di Nicola Santoro.