Ambiente, gli scienziati contestano il Wwf sugli impatti agricoli

Ambiente, gli scienziati contestano il Wwf sugli impatti agricoli

Cantelli Forti: “Turbato nel prendere atto che un organismo internazionale di tale portata ha prodotto un documento molto limitato perché unilaterale, scientificamente scorretto perché intriso di toni scandalistici e pericoloso perché di facile strumentalizzazione e ingenerante provocazione in tutto il mondo”.

In occasione della Giornata della terra il WWF ha messo nel mirino il sistema mondiale di produzione e consumo di cibo, che “da solo causa l’80% di estinzione di specie e habitat a livello globale“. Eppure a livello globale, secondo l’Onu, tali impatti rappresentano il 24% del totale. Inoltre in Europa gli impatti del sistema alimentare sono molto più contenuti, al 10,3%, secondo quanto riportato nel documento ufficiale della Commissione sul progetto Farm to Fork, e in Italia siamo addirittura al 7,6% (vd ultimo report Ispra). EFA News ha chiesto un parere sulla questione al prof. Giorgio Cantelli Forti, presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, antica e prestigiosa istituzione che riunisce il meglio della scienza italiana nel campo agroalimentare.

Prof. Cantelli Forti, Come si spiega tanto accanimento per un settore che, peraltro, deve garantire il soddisfacimento di un bisogno primario per l’esistenza umana?

Nella comunicazione attuale la moda dominante è sempre più sbilanciata verso rigide asserzioni unilaterali. Forse si attrae l’attenzione delle persone, ma di certo vengono ingenerate pericolose derive di opinione che creano danni e favoriscono le speculazioni. L’equilibrio tra la natura e la vita dell’uomo, sempre più legata a un progresso in divenire, deve essere costantemente monitorato e solo un indipendente approccio scientifico, costante e olistico, può fornire dati reali da cui trarre le metodologie d’intervento. Affermazioni (o editti!) basate su delle % che in assoluto poco fanno capire, non propongono soluzioni e terrorizzano i meno colti. La natura si sa non è benigna e l’uomo ha sempre dovuto “creare” per difendersi. Le posizioni ambientaliste o naturaliste, oltre a spaventare, nulla forniscono a risolvere le problematiche se non ad alimentare rigide ideologie negazioniste. E poi? 

Est modus in rebus dicevano gli antichi! In ogni azione umana c’è sempre un rapporto rischio-beneficio da valutare per trarre una conseguente corretta decisione con l’accettazione del rischio. Se si dovranno produrre più alimenti su ampia scala per sfamare l’aumento della popolazione a livello mondiale è ovvio che si causeranno ripercussioni sull’equilibrio tra la destinazione dei suoli, la disponibilità dell’acqua e il consumo di energia, tuttavia se non si volesse più seguire tale strada e scegliere metodi alternativi (usciamo dal vago: quali?), chi può garantire che si produrrà meno inquinamento? L’Umanità dovrà comunque trovare un’alternativa per sopravvivere, ma cosa potrà succedere se non sarà possibile? Quando ho letto il documento WWF, come ricercatore di disciplina scientifica, mi sono turbato nel prendere atto che un organismo internazionale di tale portata ha prodotto un documento molto limitato perché unilaterale, scientificamente scorretto perché intriso di toni scandalistici e pericoloso perché di facile strumentalizzazione e ingenerante provocazione in tutto il mondo. Il WWF non pianifica soluzioni atte a soddisfare la richiesta di cibo da parte dell’Umanità e soprattutto non descrive possibili alternative alle produzioni agricole che, al momento se messe in crisi aprirebbero uno scenario drammatico. Siamo sicuri che solo le produzioni agricole e le attività industriali siano fonte di inquinamento? Chi crea un reale problema all’ambiente? Solo l’uomo o anche la natura inquina? Si parla di ambiente così come proposto dal WWF, allora faccio un esempio prendendo in esame la vulcanologia. L’eruzione di un vulcano disperde nell’ambiente enormi concentrazioni di sostanze chimiche e radioattive. Come tossicologo ricordo che in USA il 27 marzo 1980 iniziò l’eruzione vulcanica del Monte Saint Helens nello Stato di Washington e in prossimità dello Stato dell’Oregon, provocando un inquinamento ambientale che fu stimato paragonabile alla sommatoria dell’inquinamento che la città di Los Angeles produce in mille e duecento anni. 

Fu un processo naturale che però ha sconvolto in maniera acuta l’ambiente ben più gravemente e a lungo di quanto potrà mai fare qualsiasi sistema di produzione alimentare. Tutto quello che scrive il WWF, dunque, può essere discusso se viene posto in antitesi con situazioni reali, altrimenti, ripeto, diventa una astratta utopia di pura posizione politica nociva, fuorviante e costosa. Più ottimisticamente dobbiamo considerare che il progresso delle Scienze esatte ha creato un’ampia articolazione di discipline agrarie, chimiche, fisiche, ambientali, biologiche, mediche che, se interconnesse in un approccio multidisciplinare, hanno la potenzialità di produrre risultati scientifici su cui riflettere e trarre decisioni anche operative.

Il WWF dice che “Il Pianeta non può reggere l’attuale sistema di produzione e consumo di cibo”. Sembra un ritorno alla visione neomalthusiana del Club di Roma, le cui previsioni catastrofiste degli anni ‘70 sono state ampiamente smentite. 

Si tratta di una versione molto astratta e speculativa del problema, alla quale potrei rispondere in modo altrettanto paradossale, ovvero che il Pianeta non potrà reggere la sottrazione di ossigeno dall’aria provocata dalla nostra respirazione perché saremo in troppi. Non scherziamo! La biodiversità è parte della cultura e dell’azione del mondo agricolo e, proprio sul controllo dell’emissione di CO2 e la sua fissazione, in agricoltura sono oggi in atto numerose ricerche e studi per concorrere tramite le culture e le piantagioni al suo equilibrio. Posso ricordare come esempio il progetto europeo “Tree Talker o albero parlante” che è partecipato e sostenuto dall’Accademia Nazionale di Agricoltura. In pratica nel “Castagneto scientifico-didattico di Granaglione”, realizzato in maniera illuminata all’inizio di questo secolo dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna sull’Appennino bolognese, un gruppo scientifico a valenza internazionale svolge avanzate ricerche ambientali. Applicato sul tronco di ciascun albero, un piccolo e sofisticato apparecchio opera tramite specifici sensori misurando la crescita diametrica dell’albero, stimando quanta acqua la pianta traspira, quanta ne preleva dal suolo, indicando la quantità di CO2 assorbita, valutando il colore delle foglie e facendo comprendere se sono in atto particolari patologie. Inoltre, misura la posizione della pianta e constata se è soggetta a inclinarsi in modo eccessivo per poi rischiare di cadere. I dati vengono trasmessi via satellite in tempo reale e permettono di intervenire tempestivamente nel luogo indicato. Quanto rilevato permette inoltre di misurare la gestione e la fissazione della CO2. In particolare, lo studio sta dando ottimi frutti e dimostra che se il castagneto, come qualsiasi altro elemento naturale, viene preservato come impianto agricolo e non come bosco selvaggio, oltre alla produzione di farina e birra di castagne, ha la capacità di assorbire e fissare CO2 in maniera incredibile portando innumerevoli benefici all’ambiente. Infatti la corretta gestione del castagneto sopra citato ha evidenziato in vent’anni di monitoraggio un incremento dello stock di carbonio nel suolo e il progressivo miglioramento della respirazione microbica ha ridotto di molto l’emissione di CO2. D’altra parte, altri risultati dimostrano che un campo di mais o un frutteto organizzato possono essere molte volte più depuranti per l’ambiente di una equivalente superficie di foresta e quindi sarà opportuno cominciare a ragionare in maniera diversa. Il problema di fondo sta quindi nella gestione corretta delle risorse primarie. Mi chiedo allora se le trasformazioni proposte dal WWF sono al passo con lo sviluppo di una società moderna? Con la ricerca scientifica si devono valutare i rapporti rischio-beneficio per le opportune scelte a favore della Collettività e concludo affermando che il WWF dovrebbe produrre anche informazioni certe e non solo proclami.

Agricoltura e biodiversità: si accusa il sistema agricolo di aver distrutto l’80% delle biodiversità del pianeta. Dovremmo tornare a un mondo pre-agricolo?

La parola “biodiversità” viene spesso usata in maniera astratta e come icona utile ad inculcare concetti allarmistici senza approfondimenti culturali. Ritengo che il termine “biodiversità” e il termine “naturale” siano divenuti a livello mass-mediatico strumenti di fantasia per definire il contenuto di un indefinito ambiente statico e intoccabile ovvero il caos che si vie produce in una inviolata foresta tropicale. Se invece con “biodiversità” intendiamo riferirci a 1. La differenziazione biologica tra gli individui di una stessa specie, in relazione alle condizioni ambientali, e 2. La coesistenza in uno stesso ecosistema di diverse specie animali e vegetali che crea un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni, allora dobbiamo ammettere che è l’Agricoltura a preservare la biodiversità tramite il lavoro e l’intelligenza dell’uomo che, organizzando l’ambiente, mantiene e utilizza le varietà vegetali e gli animali legati al luogo.

Ovviamente è importante valutare il metodo di lavoro e le regole che si seguono. Un campo agricolo ben concimato per garantire un ciclo organico con il giusto quantitativo di azoto da fornire al terreno o un pascolo erbato, mantenuto e nutrito a dovere, sono utili all’agricoltura e certamente anche all’ambiente. Talvolta si parla di coltivazione di campi agricoli e di produzione alimentare mediante tecniche naturali. Non mi sembra che ad oggi siano stati ottenuti risultati degni di nota, tuttavia, come ogni attività umana va studiata e valutata negli anni con procedure rigorose e chiare perché ogni metodo deve essere accettato nell’ambito di uno sforzo globale teso a migliorare e ottimizzare l’Agricoltura sia come settore produttivo sia per il ruolo che essa riveste nella tutela dell’ambiente. 

Si parla di agroecologia come di una nuova disciplina scientifica necessaria per l’agricoltura sostenibile: quale è la sua opinione?

Il metodo scientifico fornisce sempre nuove conoscenze che sono le “verità” al momento e mai verità assolute. I risultati ottenuti dalle conoscenze in divenire e in trasformazione richiedono massima serietà nel trarre conclusioni ponderate e il mondo scientifico evita proclami su singoli risultati per non creare gravi problemi speculativi ed etici. Da sempre l’avanzamento delle conoscenze apre strade importanti e fruttifere che si consolidano talvolta in nuove discipline scientifiche se si differenziano e si caratterizzano tramite rigorose conquiste.

L’agroecologia è certamente una nuova disciplina di grande interesse che è al momento teorico, in quanto, per avere autonomia ed esistere come settore scientifico, dovrà con un proprio metodo di ricerca dare prova di possedere autonomia e solidità sperimentale che assicuri contributi per l’uomo e l’ambiente. In altri termini l’agroecologia potrà divenire una nuova disciplina garantendo certezze scientifiche originali e non solo teorizzazioni. E’ necessaria? Sulla carta ritengo di sì, e spetta ora agli scienziati della materia a caratterizzarla in un profilo individuale e ben differenziato principalmente tramite un percorso di ricerca originale e inoppugnabile. La Chirurgia ad esempio si è evoluta e caratterizzata in secoli di lavoro manuale e il suo progresso verso la massima precisione vede oggi gli interventi più delicati che vengono eseguiti con l’assistenza di appositi robot.

La lotta biologica rivolta alla tutela delle produzioni vegetali è ancora agli albori e necessita di ampi studi per valutare i rischi derivanti da organismi che vengono immessi in ambienti nuovi. Ricordo il caso del Bacillus turingensis che fu impiegato in nuovi impianti di melo per difendere le radici aggredite dalla Melolontha Melolontha che, come effetto collaterale, favoriva lo sviluppo nell’ambiente dell’Aspergillus flavus produttore del potente cancerogeno Aflatossina B1. In altri termini si sono creati effetti ancora più tossici e dannosi per l’ambiente e la nostra salute. Ogni alternava, prima dell’enfasi e dell’uso, va verificata che sia una reale evoluzione migliorativa.

Il WWF vuole “ridurre drasticamente il consumo di proteine animali”. Ma convertire milioni di ettari di pascoli in terreni coltivabili per la soia e altre produzioni vegetali non rischierebbe di distruggere ulteriormente le biodiversità?

Riduciamo il consumo di carne per sostituirla con proteine vegetali? Lo ritengo un grave errore per le future generazioni. Da un punto di vista nutrizionale la carne rossa contiene la quantità necessaria di tutti gli aminoacidi essenziali per l’uomo, mentre alcuni lo sono parzialmente nel pesce e ancora meno nei vegetali, ed è inoltre la principale fonte alimentare di ferro altamente biodisponibile e di vitamina B12. Per lo sviluppo organico e la salute è fondamentale avere un’alimentazione sana ed equilibrata che garantisca il giusto quantitativo di proteine animali e organiche. Si possono anche ridurre i consumi di proteine animali a favore di quelle vegetali, tuttavia che dire del glutine che è la principale fonte proteica vegetale della nostra alimentazione? In maniera scandalosa il glutine è da tempo demonizzato da una campagna speculativa che lo fa credere un tossico anche per chi non è allergico e/o intollerante (oltre il 90% della popolazione). Allora perché coltiviamo la soia e favoriamo il suo consumo come fonte di proteine vegetali? Si potrebbe creare facile scandalo sui rischi da fitoestrogeni che le popolazioni orientali hanno per il quasi esclusivo uso della soia come fonte proteica e l’incidenza di polipi intestinali (adenomatosi). In sintesi intendo affermare che cavalcare idee ambientaliste è molto facile, e se si è convincenti e supportati dai sistemi mass mediatici è facile creare situazioni drammatiche per l’economia, l’ambiente e la salute delle persone. Nella sua genesi l’uomo è nato cacciatore e poi è diventato agricoltore, ma non per questo deve stravolgere la sua alimentazione seguendo solo mode e incontrollati proclami.

I dati dell’ultimo rapporto Ispra dimostrano che in Italia le emissioni globali nel settore agricolo diminuiscono da anni. Quali passi si possono fare per rendere il sistema ancora più virtuoso?

Teniamoci cara la nostra Agricoltura tutelando le aree a questa vocate. Il futuro ambientale del nostro Paese risiede anche nelle straordinarie eccellenze alimentari che vanno difese dalle contraffazioni: dobbiamo incentivare questa indispensabile fonte economica dell’Italia che favorisce la biodiversità delle nostre produzioni agricole. L’Agricoltura ha uno strumenti indispensabili per mantenere l’equilibrio ambientale da gas e inquinanti generati dalle città e dalle attività industriali come ho sopra illustrato con un esempio di grande attualità che è rappresentato dal progetto favorito dall’Accademia Nazionale dell’Agricoltura e dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna, progetto che utilizza i Tree talker come mezzo scientifico di rilevamento dati. Ed inoltre dare più peso al concetto di vocazionalità dei suoli in modo da adeguare le esigenze colturali ai terreni più idonei, riducendo l’uso dei concimi chimici, ed al tempo stesso aumentare lo stoccaggio del carbonio come del resto indicato dalla nuova PAC.

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Redazione Fidaf

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