All. n. 1 : Filosofia dello sviluppo
“Non si trionfa sulla Natura,
se non ubbidendo alle sue leggi” (Francesco Bacone)
La globalizzazione è un processo irreversibile, che avanza rapidamente sotto la spinta e sulla scia delle tecnologie della comunicazione, dell’informazione e dei trasporti. Essa comporta necessariamente degli aspetti positivi e negativi. Per evitare che questi ultimi prendano il sopravvento – con conseguenze che potrebbero essere molto gravi – non c’è altra possibilità che quella di seguire le vie della ragione.
Conformemente ai suoi principi ispiratori, l’obiettivo della Cooperazione tecnica è di aiutare i paesi in via di sviluppo (PVS) ad accrescere la loro autonomia e indipendenza, a partire dall’autosufficienza alimentare. Conseguentemente, ogni soluzione di facilità che rischia di accrescere questa dipendenza è da rifiutare (o da accogliere solo parzialmente, ma in conoscenza di causa), a meno che non costituisca la sola soluzione possibile (esempi da rifiutare : grandi progetti di irrigazione, rivoluzione verde, sementi OGM..)
I fattori di base dello sviluppo, da intendere non solo come progresso tecnico, ma anche come avanzamento civile e sociale, o miglioramento della qualità di vita, sono :
a) l’ Uomo,
b) l’ Ambiente naturale e le risorse energetiche,
c) la Tecnologia e
d) l’ Economia.
dove l’ Uomo è l’elemento attivo (nonché il fine dello sviluppo), la natura quello passivo, e gli altri due fattori (tecnologici ed economici) hanno un carattere del tutto strumentale. Per conferire allo sviluppo una valenza non solo economica, ma anche culturale, etica e spirituale (1), questi quattro fattori, tutti essenziali e correlati fra loro, sono da considerare in questo ordine prioritario.
A tale riguardo, occorre rilevare che, nel campo della Cooperazione allo sviluppo, si è generalmente attribuita una maggior importanza ai due ultimi fattori (tecnologia ed economia) piuttosto che ai primi due (l’Uomo ed l’ambiente naturale), che sono in realtà i più importanti. I diversi fattori hanno comunque uno stesso peso specifico, nel senso che la carenza di un solo di essi rischia di compromettere qualunque possibilità di sviluppo; lo sviluppo è quindi basato sulla combinazione equilibrata di questi 4 fattori.
Prendiamo come esempio il Sahel, che può essere considerato particolarmente rappresentativo – una sorta di “punta dell’iceberg” – dei problemi ambientali del pianeta. La storia dello sviluppo ci ha insegnato che la forza trainante del progresso è la tecnologia e l’innovazione tecnica, mentre l’esperienza della Cooperazione ci insegna che la tecnologia – per essere utile, appropriabile e gestibile dagli interessati – deve essere appropriata, ossia compatibile non solo con l’ambiente fisico (eco-compatibile), ma anche con l’ambiente umano (socio-compatibile),
L’energia e la tecnologia – legate fra loro come due facce d’ una stessa medaglia – dipendono in effetti dal livello socio-culturale delle comunità interessate e dal loro ambiente naturale, mentre l’economia dipende dalla tecnologia, che condiziona la produttività del lavoro. I diversi fattori dello sviluppo, oltre a costituire delle risorse, possono anche rappresentare un ostacolo al processo di sviluppo, nel qual caso devono essere corretti.
L’analisi sopraindicata è alla base di un percorso metodologico che occorrerebbe seguire nei programmi di sviluppo, alla ricerca delle soluzioni più idonee per la messa in opera di uno sviluppo durevole. Ci limitiamo qui a darne una esposizione sintetica.
(1) esiste un legame inscindibile fra aspetti qualitativi e quantitativi dello sviluppo, sicché non ci può essere uno sviluppo reale, ossia equilibrato e durevole, senza un parallelo progresso sul piano culturale, etico e spirituale.
1.1. L’Uomo, o l’ambiente socio-culturale
L’Uomo è allo stesso tempo il soggetto e l’oggetto principale dello sviluppo. L’uomo saheliano – o assimilabile a questo – è per tradizione agricoltore, allevatore o pescatore, più raramente, ma sempre più spesso, una figura mista che pratica due o più attività primarie. La sua conoscenza dell’ambiente fisico e della tecnologia necessaria a gestirlo (tenuto conto anche del tasso di incremento demografico) è del tutto parziale e insufficiente ad innescare un processo di sviluppo durevole, soprattutto a causa della pressione antropica (uomo e animali domestici), che cresce continuamente ed alla quale non corrisponde un adeguamento culturale sufficiente, anche per gli errori commessi dalla Cooperazione internazionale, che lo hanno spesso allontanato dal cammino più semplice e naturale. Egli deve quindi essere guidato alla ricerca delle soluzioni più idonee per il suo sviluppo con un approccio non egoistico, interattivo e partecipativo.
Fra le cause che si oppongono alla messa in opera di uno sviluppo durevole, occorre citare alcuni fattori socio-culturali, come la costante riduzione delle risorse, la conflittualità fra agricoltori e pastori, il regime fondiario tradizionale, la mancanza di recinzioni, l’uso di tecniche errate, una concezione insufficiente dello sviluppo, l’incoerenza e/o la mancanza di capacità, di razionalità e di logica previsionale, ecc…
Nella elaborazione e formulazione delle strategie di sviluppo, specie per quanto concerne il continente africano, è gravemente mancato l’apporto delle scienze umanistiche, in particolare quello di un’antropologia culturale orientata allo sviluppo (antropologia dello sviluppo). Non si è tenuto conto del fatto che le attività primarie – e in particolare l’agricoltura – sono il tratto fondamentale della cultura di un popolo, e che da questa base occorre partire per costruire l’edificio dello sviluppo, o per proporre soluzioni valide, in grado di essere recepite e di attecchire come innesti vitali e ben riusciti.
Nei paesi del Sahel, caratterizzati da ecosistemi fragili (scarsa piovosità, terreni poveri e facilmente erodibili), l’introduzione di una nuova agricoltura, quasi paracadutata dall’alto, (costosa e legata ai grandi schemi irrigui), senza alcun rapporto con la tradizione delle popolazioni interessate, ha creato seri problemi socioculturali e sanitari e registrato ovunque risultati più che modesti. Una rapida evoluzione dell’ agricoltura tradizionale è invece possibile, a condizione di introdurre tecnologie e pratiche colturali appropriate e in grado di correggerne le carenze ed i fattori limitanti (di ordine socio-culturale, fisico-ambientale e tecnico-economico).
1.2. L’ambiente naturale e le risorse energetiche
La Natura ha – come la Storia – un ruolo educativo per l’Uomo. Da parte sua, l’Uomo persegue naturalmente un percorso evolutivo, che lo induce a trasformare e a domesticare la Natura, e – attraverso la natura – anche sé stesso. In base ad una serie di osservazioni, possiamo quindi affermare che lo Sviluppo, o progresso, è essenzialmente la ” domesticazione o l’ingentilimento della Natura”- sia esterna che interna (o interiore) – in tutte le sue forme e nel rispetto dei suoi equilibri vitali (psicologici, culturali, fisici, biologici e climatici).
Quando la Natura si ribella, significa che da parte dell’Uomo sono stati commessi degli errori nelle opere di trasformazione della stessa. E’ vero che l’Uomo impara più dagli errori (errando discitur) che dalle cose ben fatte. Essendo però dotato di intelligenza e di ragione, egli è anche in grado di correggersi : per l’uomo di buona volontà, gli errori acquistano così un valore positivo.
Questo è anche vero per quanto concerne le cause – generalmente di ordine economico – del degrado ambientale e della desertificazione, cause che, avendo egli stesso provocato, è anche in grado di comprendere e di correggere.
Da questa analisi, e dal conflitto sempre più evidente fra economia ed ecologia, è nata una nuova concezione dello sviluppo, o eco-sviluppo, che cerca di armonizzare l’economia dell’Uomo con quella della Natura.
In linea con queste osservazioni, lo sviluppo futuro dovrà essere eco-compatibile e partecipativo, basato sul riequilibrio del rapporto Uomo-Natura, sulla corretta gestione delle risorse primarie (acqua, suolo, risorse animali e vegetali) e sul restauro ambientale delle aree degradate, ovvero su una crescita equilibrata e parallela del Pil e della qualità di vita. Tutto ciò comporterà un profondo ripensamento e riorientamento delle attività produttive e della ricerca in genere, in pratica un nuovo modello di sviluppo, essendo quello attuale ormai esaurito e difficilmente emendabile, in particolare per quanto concerne gli aspetti ambientali e socio-culturali, fin qui trascurati.
Passiamo ora dall’approccio filosofico alle problematiche concrete e particolari, poste dall’azione sul terreno. L’ambiente fisico preso in esame è – come già detto – quello della regione saheliana e/o dei paesi a questa assimilabili. Questo ambiente corrisponde alla fascia arida e semi-arida delle terre di steppa e di savana che circondano la parte centrale del continente africano, rappresentata dalle sue regioni umide. Purtroppo questa fascia tende ad espandersi sempre più a spese delle regioni umide, riducendone al contempo le risorse. Estendendosi sia a Nord che a Sud dell’equatore, questo ambiente interessa una quindicina di paesi dell’Africa sub-sahariana e si caratterizza per una grande omogeneità socio-culturale. Ciò significa che le soluzioni da proporre per promuovere uno sviluppo durevole sono sensibilmente le stesse nell’insieme di questi paesi. E’ anche chiaro che l’ambiente in esame non è particolarmente favorevole allo sviluppo – almeno secondo i criteri invalsi finora – di consumo e di non ripristino delle risorse naturali. Ma questo tipo di “sviluppo” appare sempre meno praticabile, ed è quindi destinato a cambiare rapidamente a causa della pressione demografica e della crescente riduzione delle risorse.
I due maggiori ostacoli che si oppongono allo sviluppo durevole delle regioni aride e semiaride sono la carenza d’ acqua e di energia. Per quanto riguarda l’acqua, questo tema è stato trattato a sufficienza nell’allegato n. 3 (La lotta contro la desertificazione/LCD nel Sahel…).
Per quanto concerne l’energia, è sempre la Natura a fornire le opzioni più appropriate alla soluzione e messa a disposizione di questo fattore, così necessario allo sviluppo. Nel caso preso in esame, si tratta soprattutto della legna da ardere e dell’impiego dell’energia animale.
La materia prima per la legna da ardere proviene ancora oggi per lo più dagli stocks naturali tuttora esistenti, sia per i villaggi che per gli agglomerati urbani. Ma questi stocks tendono ad esaurirsi rapidamente, poiché la loro capacità di rinnovo non basta a coprire il gap crescente, dovuto alla pressione demografica ed alle richieste delle città, che sono anche cresciute da quando è invalsa l’utilizzazione, alquanto recente, del carbone di legna (carbonella). Si tratta di un problema assolutamente prioritario e vitale, che per il momento può essere risolto solo con grandi programmi di rimboschimento.
In confronto ai sistemi convenzionali di piantagione, che sono costosi, insufficienti e basati su specie inadatte e non autoctone, l’approccio proposto (vedi “Sistema Agrfor”, Allegato n. 5) comporta una serie di vantaggi, che vanno dalla drastica riduzione dei costi e dei tempi di piantagione al ricorso a specie locali e alla diffusione di fornelli migliorati – ciò che consente di affrontare questo problema nel modo più semplice ed efficace.
A parte la legna da ardere, la principale forma di energia per le comunità rurali è quella fornita dagli animali domestici (2). Questa forma di energia, ancora fondamentale nella maggior parte dei paesi del Sud del mondo, è poco diffusa nei paesi africani. Inoltre, essa è ancora tributaria di specie non autoctone e non sufficientemente adatte alle condizioni ambientali e sanitarie dell’Africa sub-sahariana, che sono del tutto particolari (vedi allegato n.2 : Il pianeta Africa). La maggior parte di questi animali – pur indispensabili al momento attuale – non sembra infatti convenire alle esigenze future del sub-continente e dei suoi ecosistemi naturali (3).
In un’ottica di eco-sviluppo, il cui scopo dev’essere quello di armonizzare al meglio l’ economia e l’ ecologia, è quindi opportuno considerare – come per la riforestazione – il ricorso a specie autoctone, anche se non ancora domesticate, perché più adatte alle condizioni locali. La specie più interessante al riguardo è senza dubbio il bufalo africano, ma altre dovrebbero seguire (elefante, zebra, alcune grandi antilopi) ed avere un ruolo importante nell’economia dei paesi africani, sfuggendo così al rischio – sempre maggiore – di una scomparsa quasi totale delle specie selvatiche (4), che causerebbe una perdita irreparabile non solo per il patrimonio naturale dell’Africa e del mondo, ma anche per lo sviluppo dei paesi africani.
(2) Anche nel nostro mondo occidentale l’energia animale è stata dominante, nel mondo agricolo e rurale, fino a poco più di 50 anni fa. La cultura odierna, di prevalente matrice urbana e industriale, non si rende più conto dell’importanza che gli animali – specie quelli domestici – hanno avuto e continuano ad avere per lo sviluppo dell’Uomo e della Civiltà; né si rende conto del fatto che alla domesticazione si deve il salvataggio di molte specie animali, che altrimenti sarebbero scomparse a causa della caccia (è forse il caso di aggiungere che gli animali sono sempre molto attratti dall’Uomo – di cui ricercano l’amicizia e la giocosità – e che la Terra si trasformerebbe rapidamente in un nuovo Eden e tutto si porrebbe al suo servizio se egli riuscisse a controllare la propria aggressività, a rispettare il tempio della Natura e a non comportarsi più come il più temibile dei predatori).
(3) Bovini, asini, zebù, cavalli e cammelli provengono dall’Africa del Nord, dall’ India, dalle steppe euro-asiatiche e dal Medio Oriente. L’introduzione di specie estranee in ecosistemi nuovi e caratterizzati da un forte rapporto sinergico fra mondo animale e vegetale, ha un impatto fortemente negativo sugli equilibri biologici degli stessi.
(4) Cosa è meglio? la domesticazione (solo) parziale di specie potenzialmente utili e la sopravvivenza in natura di tutte le specie selvatiche – su una parte importante dei loro territori – o la non domesticazione, accompagnata da distruzione ambientale e scomparsa della fauna selvatica in territori sempre più vasti ? (con riduzione della stessa in spazi sempre più ristretti, e di quasi cattività).
Cosa pensa il WWF al riguardo? non sa che la fauna africana è minacciata anche nei parchi (e lo sarà sempre di più) e che negli ultimi 40 anni essa è praticamente scomparsa (estinta) in territori vastissimi del continente africano a causa della desertificazione, della povertà e della eccessiva pressione demografica (causata anch’essa dalla povertà). La questione si presta a considerazioni non solo etiche, per quanto concerne lo sviluppo delle popolazioni africane, ma anche ecologico-ambientali e di coerenza e razionalità strategica riguardo al salvataggio della fauna e della natura africane (anche tenendo conto del parere e delle pressioni dei cacciatori, il cui potere lobbistico è molto forte).
1.3. La tecnologia e la sua gestione
La tecnologia è rappresentata da quel complesso di strumenti di cui l’uomo si serve per accrescere l’efficacia della sua azione, anche e soprattutto nei confronti della natura. Essa può essere utilizzata sia correttamente e vantaggiosamente, sia in modo scorretto e dannoso, a seconda delle conoscenze e della sensibilità dei suoi utilizzatori. Per questo, l’uso che ne viene fatto dovrebbe essere controllato e regolamentato.
Per quanto concerne la LCD e la gestione delle risorse primarie, abbiamo descritto a sufficienza la tecnologia semi-meccaniz-zata di “water harvesting”, o dei micro-bacini, che consente non solo di superare efficacemente – e a costi ridotti – i due maggiori ostacoli che si frappongono allo sviluppo delle regioni aride (la carenza d’acqua e di energia), ma anche di risolvere nel modo più semplice i problemi ad essi collegati, che condizionano pesantemente la vita quotidiana di molti paesi africani (carenze alimentari, povertà, degrado ambientale e socio-economico, desertificazione, malattie, perdita di bio-diversità, cambiamenti climatici, ecc..)
Questa tecnologia suscita alcune perplessità in alcuni tecnici ed esperti, per quanto concerne la sua gestione autonoma da parte dei tecnici africani.
Abbiamo visto infatti che la tecnologia – per essere utile – deve essere appropriata, e sappiamo che la meccanizzazione agricola ha fallito quasi ovunque in Africa; essa non può pertanto venir considerata come appropriata. A questo tipo di perplessità, noi opponiamo le seguenti ragioni :
– c’è una differenza fondamentale fra la meccanizzazione agricola convenzionale e la tecnologia proposta, nel senso che la prima serve a preparare ogni anno i suoli per le semine della campagna agricola (tecnica non particolarmente indicata per i suoli tropicali, perché favorisce l’erosione, soprattutto nelle regioni aride) ; quella che noi proponiamo serve invece a creare – con un solo intervento e una volta per tutte (una tantum) – le condizioni necessarie ad assicurare la conservazione del suolo e delle acque meteoriche, la difesa dei suoli dall’erosione ed il loro restauro, ovvero ad innescare un processo di riqualificazione ambientale e produttiva esattamente inverso al precedente e senza il quale nessun tipo di sviluppo è praticamente possibile.
Si tratta quindi non solo di un intervento necessario ed estremamente semplice, cui sono chiamate a concorrere le comunità interessate (che si impegnano ad assicurare da un anno all’altro la manutenzione delle opera di bonifica), ma anche di un intervento fondamentale nel campo dell’ educazione ambientale. Per una maggior sicurezza e garanzia degli enti finanziatori, l’intervento può essere modulare e progressivo, nel senso di espandersi solo quando tutti i possibili ostacoli sono stati rimossi o superati. Occorre anche sottolineare che i benefici prevedibili sui sistemi di produzione agro-silvo-pastorali sono molto superiori ai costi dell’intervento, e che dei tecnici ben formati e selezionati non avranno alcuna difficoltà a gestire le Unità tecniche di meccanizzazione/UTM.
Tenuto conto dei costi e benefici potenziali – è infine probabile che la tecnologia proposta possa venir rapidamente adottata e gestita dal settore privato ed anche da imprenditori africani, che potrebbero così contribuire direttamente ed efficacemente allo sviluppo di base dei loro paesi, con grande vantaggio dei produttori e di tutta la comunità nazionale (nonché di quella inter-nazionale).
1.4. L’economia
L’economia è la risultante dei primi tre fattori. Ciò significa che mettere l’economia al primo posto conduce inevitabilmente all’insuccesso e alla distruzione di risorse, come prova anche l’attuale crisi economico-finanziaria.
Se i problemi relativi ai diversi fattori, da considerare nell’ordine succitato, sono stati risolti correttamente, i risultati economici seguiranno automaticamente . Se invece i risultati economici non sono all’altezza delle attese, e non sono in grado di innescare un processo di sviluppo durevole, vuol dire che sono stati commessi degli errori al livello delle scelte decisionali riguardanti uno o più dei primi tre fattori.
Non c’è Sviluppo senza Cultura e non c’è Cultura senza Sviluppo ; la Scienza non può fare a meno della Filosofia, che le indica la giusta direzione da seguire nella ricerca finalizzata allo sviluppo. Contrariamente a quanto comunemente si crede, la vera conoscenza nasce più dal cuore che dalla testa. Lo Sviluppo, o progresso, sia materiale che spirituale, è basato essenzialmente sulla “domesticazione della Natura” (sia esterna che interiore), in tutte le sue forme e nel rispetto dei suoi equilibri vitali.