Alberi che cadono, Kafka, Politica e Futuro

Alberi che cadono, Kafka, Politica e Futuro

“Si va rafforzando la persuasione che la scienza sia il possibile schermo di un sistema di potere economico occulto. La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti-capitalista. La “cultura del sospetto” non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea”. (Carmelo Palma, 2017).
Uso questa frase come incipit di questo breve articolo perché trovo che si attagli perfettamente alla situazione kafkiana che emerge ogni volta che si parla di alberi. Soprattutto, quando lo si fa sull’onda emozionale susseguente a un evento meteorico che ha causato la caduta di molti di essi e, nei casi peggiori, la morte di una o più persone.
Innanzi tutto occorre cercare di capire come altri stanno affrontando questo argomento. Le città europee sono soggette a continui cambiamenti e nessuna area urbana sarà immune dalle forze che li muovono. Infatti, come il XXI secolo progredirà, è probabile che il ritmo del cambiamento sarà anche accelerato. Luoghi che un tempo prosperavano potrebbero fisicamente e/o economicamente degenerare. Altre aree, che sono attualmente ritenute povere o depresse, potrebbero invece beneficiare di una rigenerazione o di una rinascita. Ignorare il cambiamento che stiamo vivendo è, da parte dei nostri politici, degli investitori o degli opinion makers, deleterio.
Il cambiamento può e, nella situazione attuale, deve anche tenere in considerazione uno degli elementi strutturanti le nostre città: gli alberi. Il normale “ricambio” delle alberature nelle città estere è compreso fra lo 0,7 e l’1% annuale del patrimonio arboreo totale.  In Italia ogniqualvolta si parla di questo argomento si scatena una gazzarra, spesso avente connotazione politica, tanto che la medesima parte protesta contro o è a favore del rinnovo in funzione del fatto che una parte stia o meno amministrando la città.
In questo contesto, è difficile far prevalere l’obiettività tecnica, spesso coperta da contumelie da una parte e dall’altra, entrambe ferme su convinzioni tecnicamente errate e quasi mai supportate da basi tecniche dalle quali è necessario partire per capire quali siano le reali emergenze e sulle quali è obbligatorio impostare il rinnovo delle alberature laddove ritenuto necessario.
Succede però sempre che quando si abbatte un albero il rumore sia fragoroso e rimbalzi sui social e sui giornali in modo anche surrettizio, mentre il silenzio con cui gli alberi vengono ripiantati non viene percepito dai più.
Voglio ricordare che, per quanto mi riguarda, pianterei alberi in ogni dove.  Da tecnico, non posso però dimenticare che gli alberi non sono eterni e che, dal punto di vista ambientale ed economico (ma anche sociale, visti il potenziale rischio per la comunità), è preferibile intervenire gradualmente piuttosto che doverlo fare in maniera più severa a seguito di qualche evento calamitoso.
E, vorrei sottolinearlo ancora una volta, non mi sto riferendo ad alberi monumentali o che, per loro caratteristiche, siano storicamente e paesaggisticamente importanti.
Mi riferisco a quelli che, giunti alla fine del loro ciclo ontogenetico o per problematiche intrinseche, devono essere sottoposti a continui monitoraggi e interventi economicamente non convenienti e non più sostenibili dal punto di vista ambientale. La CO2 prodotta per gli interventi continui di attrezzi e macchine è largamente superiore a quella sequestrata dagli alberi. Anche il livello di rischio può essere incompatibile con la fruizione delle aree limitrofe.
Dal punto di vista tecnico (non biologico, è bene sottolinearlo perché un albero in città ha un’aspettativa di vita largamente inferiore a quella in ambiente aperto), gli alberi vengono classificati secondo la loro aspettativa di vita utile (ULE – useful life expectancy).
Gli alberi raggiungono la massima ULE quando il costo della loro gestione e dei manufatti con i quali possono interferire e il costo potenziale legato al rischio di caduta superano il loro valore. Anche usando questa misura oggettiva e sostenibile, molti cittadini continuano a protestare contro l’abbattimento di alberi maturi che, in base alle loro personali opinioni, non considerano pericolosi. I politici, dal canto loro, sono molto sensibili ai mal di pancia dei cittadini, mentre lo sono meno nei confronti degli alberi (gli alberi non votano), vista la scarsa attenzione e i ridottissimi finanziamenti. Le Amministrazioni non sanno comunicare in modo chiaro il perché di certe scelte. È normale quindi che il cittadino abbia un approccio negativo a qualcosa che non gli è stato correttamente spiegato. Si ripropone, come ho ripetuto infinite volte, la reazione emozionale alla logica delle razionalità.
Se molti alberi vengono piantati nello stesso momento, come parte di un’iniziativa governativa o di uno sviluppo suburbano, è probabile che raggiungeranno la loro massima ULE insieme. Possiamo evitarlo piantando numerose specie il che, oltre ad aumentare la biodiversità, ha anche effetti nel lungo periodo (le diverse specie hanno diverse aspettative di vita), garantendo un graduale ricambio degli impianti. Ciò significa che devono essere selezionate quelle specie che potranno garantire performance ambientali per le future condizioni climatiche. Al contempo, dovranno essere destinatarie di una gestione minima che, lo ricordo ancora, è una sorgente di CO2 che potrebbe addirittura vanificare i benefici di quegli alberi che sono stati, per errore, mal selezionati o collocati nel posto sbagliato.
Abbiamo bisogno di educare e mantenere la conoscenza politica e pubblica, perché se vogliamo avere più alberi efficaci, efficienti, sostenibili e resilienti, occorre che, gradualmente, quelli attualmente presenti siano sostituiti e questo può anche voler dire non piantarli nel medesimo posto. Errori fatti nel passato non per scarse conoscenze tecniche, ma perché la situazione urbana, sociale e ambientale era completamente diversa, non devono essere ripetuti. Non ce lo possiamo permettere.

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Redazione Fidaf

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