Dualismo agricoltura/energia

Dualismo agricoltura/energia

L’articolo 5 dell’appena approvato Decreto Legge 15 maggio 2024, n. 63 “Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo” limita a poche fattispecie l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti. Questo provvedimento legislativo ripropone in termini attuali l’antico dualismo agricoltura/energia. Da sempre l’agricoltura ha prodotto, oltre agli alimenti, materie prime per l’artigianato e l’industria, come per esempio legname da costruzione, pellami, gomme, fibre tessili, cellulosa, coloranti, farmaci e via enumerando. Ha inoltre rappresentato un’importante fonte di energia, a cominciare dalla produzione di legna da ardere, fonte energetica primaria fin dall’introduzione del controllo del fuoco. Sin dall’alba dell’agricoltura la principale forza motrice usata in agricoltura, nelle costruzioni, nei trasporti e nelle industrie è stata offerta da animali domestici (buoi, cavalli, bufali, asini, muli, cammelli, elefanti) la cui alimentazione – e quindi la cui energia – era assicurata dalla produzione di foraggi e mangimi o dalla disponibilità di pascoli. La produzione di energia era quindi in competizione con la produzione di cibo: l’area destinata alla produzione di alimenti ad uso zootecnico era superficie sottratta alla produzione di alimenti per la nutrizione umana diretta. Come scrive Slicher Van Bath[1], ogni miglioramento dell’efficienza dell’utilizzo della trazione animale si è concretizzato infatti in una diminuzione della superficie agricola destinata all’alimentazione degli animali da lavoro e nella conseguente maggiore disponibilità di terra per la produzione di cibo per l’alimentazione umana. Nel secolo scorso, la meccanizzazione agraria ha certamente liberato gli agricoltori e le loro famiglie dalla penosità del lavoro manuale, come messo in evidenza da un precedente editoriale, ma ha anche  liberato importanti superfici agricole, non più necessarie per alimentare il bestiame da lavoro e quindi disponibili per la produzione di alimenti per uso umano.

Negli ultimi decenni del secolo scorso, la competizione tra produzione di alimenti e produzione di energia si è riproposta con l’adozione delle colture energetiche. La produzione di biomassa vegetale da usare per ottenere bioetanolo e biodiesel ha sottratto superficie agraria alla produzione di alimenti in molti Paesi del mondo, contribuendo alla volatilità dei prezzi delle derrate alimentari. Questa conversione è stata animata sia dalla ricerca della sovranità energetica che dalla volontà di ridurre le emissioni di gas climalteranti. L’uso di combustibili derivati da biomassa vegetale infatti restituisce all’atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica che è stata sottratta dalla fotosintesi clorofilliana durante la fase di produzione agricola, rendendo l’intero processo climaticamente neutro.

Infine l’agrivoltaico, entrato prepotentemente in scena negli ultimi anni, che permette di convertire l’energia solare in energia elettrica. Una fonte rinnovabile quindi. Ma anche qui sono necessarie grandi superfici per produrre quantità di energia significative. Finché si usano i tetti delle installazioni agricole (capannoni, fienili, magazzini, stalle, altre costruzioni rurali) non sussistono grandi problemi. Quando invece si utilizzano superfici agricole, scatta la competizione con l’uso agricolo dei terreni e l’agrivoltaico va a discapito della produzione di alimenti. È questo consumo di suolo che il Decreto Legge ha inteso contenere. L’utilizzo di impianti sollevati da terra, che lasciano lo spazio per effettuare delle coltivazioni può in alcuni casi suggerire un utile compromesso tra la produzione energetica e la destinazione agricola del suolo. Gli impianti fotovoltaici sollevati da terra, però, pongono problemi agronomici non completamente risolti, anche per l’esiguità della ricerca agronomica in corso su questo specifico argomento. La tecnologia dell’agrivoltaico, molto avanzata per la parte impiantistica, necessita di sviluppo soprattutto per la sua componente agronomica.

[1] B. H. Slicher Van Bath, Storia agraria dell’Europa occidentale (500-1850). Einaudi, 1972.

 

Redazione Fidaf

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