Professioni, il bicchiere è mezzo vuoto

Professioni, il bicchiere è mezzo vuoto

Presentato oggi a Roma l’VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia di Confprofessioni, alla presenza del ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone. Congiuntura negativa e declino demografico pesano sulla professione: cala il numero dei laureati che intraprendono la libera professione, si riduce il numero degli iscritti a un ordine professionale – nonostante l’aumento della componente femminile e dei datori di lavoro – e l’Italia perde il suo primato europeo. Intanto crescono i redditi, ma permane un forte squilibrio tra Nord e Sud e tra uomini e donne. Il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella: «digitalizzazione e sostenibilità sono le chiavi per il rilancio delle professioni e del Paese». L’abstract del Rapporto.

 

Roma, 30 novembre 2023. Nel 2022 poco più di 53 mila liberi professionisti hanno gettato la spugna. Dopo oltre 10 anni di crescita continua, interrotta solo dalla pandemia, si ferma la corsa dei liberi professionisti in Italia, che nel 2022 si attestano a 1.349.000 unità, segnando una flessione del 3,7% rispetto al 2021. Il bilancio diventa ancor più pesante se si considera che negli ultimi quattro anni circa 76 mila professionisti hanno abbandonato la loro attività, con una variazione negativa del 5%.

Il settore professionale si muove in netta controtendenza rispetto alle dinamiche occupazionali della forza lavoro in Italia. Tra il 2018 e il 2022, infatti, il numero di occupati è cresciuto dello 0,6% ma è stato assorbito quasi esclusivamente dal lavoro dipendente, che aumenta di oltre 765 mila unità, a scapito di quello indipendente che nello stesso periodo perde 291 mila posti di lavoro. Non solo, il calo del comparto professionale si ripercuote anche a livello europeo, dove l’Italia con 48 liberi professionisti ogni mille occupati perde la leadership e cede il passo ai Paesi Bassi, che detengono il primo posto per tasso di presenza della libera professione, con 50 liberi professionisti ogni mille occupati.

L’incertezza di un quadro economico assai complesso, insieme con il preoccupante declino demografico del Paese, sta modificando profondamente le caratteristiche del settore, che se da una parte vede ridursi il numero degli iscritti a un ordine professionale; dall’altra non riesce più ad attrarre le giovani leve. Nonostante l’aumento del numero di laureati, infatti, si registra una scarsa propensione verso la libera professione soprattutto tra le attività giuridiche, gli architetti, gli agronomi e i veterinari. Tra il 2018 e il 2022 il numero di laureati che hanno scelto la libera professione è passato da 20.795 a 18.644, registrando un calo del 10,3%. All’appello mancano 2.151 laureati, che hanno preferito un lavoro dipendente.

La flessione degli iscritti colpisce quasi tutte le categorie professionali e risulta più marcata nel Mezzogiorno, che sconta una massiccia ondata migratoria verso le regioni del Centro e del Nord. Un fenomeno che ridisegna la configurazione degli studi. Se durante la pandemia i più penalizzati erano stati gli studi con dipendenti, nel 2022 si inverte la tendenza, con il recupero di quasi 11 mila professionisti datori di lavoro (e sono le donne a trascinare la crescita); mentre cala di circa 63 mila unità il numero di professionisti senza dipendenti. Un dato che indica una tendenza a rafforzare i livelli occupazionali e, quindi, una spinta verso i processi aggregativi degli studi professionali.

È l’ultima e più aggiornata fotografia del settore professionale quella che emerge dal “VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia – anno 2023”, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Paolo Feltrin, e presentato oggi a Roma nella sala plenaria Marco Biagi del Cnel che ha visto la partecipazione del ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone; del viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto; del viceministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini; di Giulio Centemero, della commissione Finanze della Camera; di Marco Croatti, della commissione Finanze del Senato; di Chiara Gribaudo e di Marta Schifone, della commissione Lavoro della Camera. All’evento sono intervenuti il presidente del Cnel, Renato Brunetta; il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella; il presidente f.f. dell’Istat, Francesco M. Chelli e Alessandro Rosina, docente dell’università Cattolica di Milano; Pietro Francesco De Lotto, presidente della Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI); Luigi Fabbris, presidente dell’Associazione per la statistica applicata (ASA); Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e Claudio Rorato, responsabile scientifico dell’Osservatorio professionisti del Politecnico di Milano.

«Calo demografico, basso appeal delle libere professioni tra i giovani laureati e flessione del numero complessivo degli iscritti agli ordini professionali. L’VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia ci consegna un quadro fedele e piuttosto preoccupante di una realtà economica che subisce le conseguenze di una congiuntura negativa proprio quando l’intero settore è alle prese con una difficile transizione dettata dalla forza dirompente delle tecnologie digitali, che impongono notevoli investimenti per ridisegnare i modelli organizzativi all’interno degli studi professionali», commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «In questo scenario, la contrazione del numero di iscritti agli albi professionali diventa ancor più preoccupante alla luce della scarsa propensione dei giovani neo laureati verso la libera professione. Un fenomeno aggravato dagli squilibri demografici e dal profondo divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord. Tuttavia, all’interno del Rapporto ci sono segnali incoraggianti, per esempio, sul fronte dell’occupazione e l’aumento dei datori di lavoro professionisti è un chiaro sintomo della necessità di accelerare i processi di aggregazione, anche tra discipline diverse, per favorire la crescita dimensionale degli studi professionali e sostenere la loro competitività sul mercato nazionale e internazionale. L’insieme di questi fattori ci spinge a sottolineare l’esigenza di un intervento della politica per rendere più attrattivo e competitivo il nostro settore. E i segnali che arrivano in questa direzione dalle forze di Governo e dalle opposizioni ci lasciano ben sperare».

Il mercato del lavoro e la riscossa delle donne
Le dinamiche occupazionali che hanno caratterizzato il settore professionale negli ultimi due anni incidono sulle caratteristiche demografiche del comparto stesso, dove si assiste a un chiaro ribilanciamento di genere all’interno della libera professione, che si tinge sempre più di rosa. Al di là del calo numerico complessivo che coinvolge sia la popolazione maschile (-4,6%) sia quella femminile (-2,1%), il Rapporto di Confprofessioni segnala come le donne siano cresciute maggiormente rispetto agli uomini.  Nel 2022 si contano infatti 135 mila professioniste in più rispetto al 2010, mentre l’incremento dei professionisti si ferma a quota 28 mila unità. La presenza femminile spicca soprattutto tra le professioni sanitarie e socio-assistenziali (53,2%) e nelle attività legali si è quasi raggiunta la parità di genere (45,5%). In ritardo, invece, le professioni tecniche dove la quota di libere professioniste non raggiunge il 24%. Da questo punto di vista le regioni più virtuose sono l’Emilia Romagna, Lazio e Piemonte; mentre le regioni dove si registra il maggior squilibrio di genere sono la Calabria, la Liguria e la Campania.

I redditi dei professionisti
Nel 2022 il reddito medio annuo dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private è salito a quota 38.752 euro, in aumento rispetto ai 33.269 euro del 2021 e con un balzo del 14,2% rispetto al periodo pre-crisi pandemica. A beneficiare della crescita dei profitti sono soprattutto le professioni tecniche, grazie anche alla spinta del Superbonus. In cima alla classifica si collocano i geometri con un incremento del 37,7% sul 2010, seguiti a ruota dai geologi (+29,8%), architetti (+28,4%) e ingegneri (+25,9%). In base ai dati delle casse private, le professioni più redditizie sono quelle degli attuari (con un reddito medio di 96.306 euro) e dei commercialisti (74.330 euro); in calo, invece, i consulenti del lavoro (49.202 euro). In fondo alla classifica si collocano agrotecnici, giornalisti e psicologi.

L’aumento dei redditi è confermato anche dai dati Isa (Indici sintetici di affidabilità fiscale) del Mef che, a differenza dei dati delle Case private escludono i contribuenti che adottano il regime forfettario, le nuove partite Iva, i contribuenti che hanno riportato cali dei compensi superiori al 33%.  In questo caso, le attività che registrano l’incremento maggiore nei redditi medi sono gli studi notarili (+19,2%) seguiti dagli psicologi (+15,6%) e dalle professioni paramediche indipendenti (+13,5%).

In questo scenario, tuttavia, si allarga ulteriormente la forbice reddituale tra uomini e donne, soprattutto nelle professioni giuridiche, dove le donne guadagnano oggi meno della metà degli uomini. Ma il problema coinvolge trasversalmente diverse categorie professionali. Tra i commercialisti, per esempio, il divario reddituale tra maschi e femmine sfiora i 40 mila euro, mentre tra gli ingegneri le donne guadagnano 22 mila euro in meno rispetto ai colleghi maschi.

Passando ai professionisti iscritti alla gestione separata Inps, la musica cambia. A fronte dell’aumento del numero degli iscritti (dai 260 mila del 2010 ai 476 mila del 2022), il Rapporto Confprofessioni sottolinea una costante contrazione del reddito medio, che scende dai 19 mila euro pro capite del 2010 ai 17 mila euro del 2022. Anche in questo ambito si registra un persistente divario di genere a sfavore della componente femminile che al 2022 guadagnano circa 5 mila 800 euro in meno rispetto agli uomini. Il divario reddituale appare ancor più marcato tra Nord-Sud e si attesta intorno a 6-7 mila euro, con Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto in testa alla classifica dei redditi più alti; fanalini di coda: Sicilia, Calabria e Campania.

La frattura tra Nord e Sud
Il divario Nord-Sud è la spina nel fianco dell’economia italiana. Nel 2022 il tasso di occupazione in Italia ha superato di poco il 60%, un dato più basso di quasi 10 punti rispetto alla media europea. Tuttavia, sottolinea il Rapporto Confprofessioni, il problema italiano non è generalizzato ma è in grandissima parte la conseguenza della persistente frattura Nord-Sud. Riduzione della natalità e saldi migratori interni costantemente in perdita sono le cause principali che aggravano gli squilibri demografici, anche nel settore professionale. Ci sono infatti ben 23 punti percentuali di differenza tra la percentuale di occupati nel Mezzogiorno (nel 2022 avevano un tasso di occupazione del 45,6%) e nelle regioni del Nord (che vantano un’occupazione pari al 69,0%). Analogo discorso per la questione di genere. Il fenomeno non è nuovo e affonda le sue radici nella struttura demografica che nel Sud è cambiata in modo drammatico. Nel 2022 il numero di residenti in età 0-29 anni si è ridotto del 30% rispetto al 2002, mentre la popolazione over 60 del meridione aumenta in modo sostenuto (+35%).

La duplice transizione
In uno scenario caratterizzato da poche luci e molte ombre, il rilancio delle libere professioni si gioca sulla transizione digitale ed ecologica per promuovere la sostenibilità e lo sviluppo della dimensione imprenditoriale degli studi professionali. In questa direzione, segnala il Rapporto, la revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il meccanismo del REPowerEU rappresentano un nuovo impulso per valorizzare le competenze dei professionisti e per recuperare il ritardo nella “messa a terra” di una strategia di sviluppo del sistema professionale italiano.

La duplice transizione impone una risposta adeguata del tessuto professionale rispetto alla domanda crescente del mercato di figure lavorative con competenze avanzate nell’ambito delle discipline STEM e in settori ad alta innovazione, anche per risolvere il problema del mismatch tra domanda e offerta di competenze. In questo campo, occorre spendere energie e creatività per immaginare nuove figure professionali ibride, che sappiano impiegare le competenze di area STEM e metterle al servizio delle nuove esigenze del mondo del lavoro professionale.

«Le professioni sono al servizio delle sfide dalla transizione digitale ed ecologica», commenta Stella. « La digitalizzazione della pubblica amministrazione, la sanità territoriale, la rigenerazione urbana,  l’agricoltura sostenibile, la riduzione del rischio idrogeologico e lo sviluppo delle energie rinnovabili sono obiettivi ambiziosi che il nostro Paese può raggiungere con lo sviluppo delle competenze e delle infrastrutture professionali».

Abstract dell’VIII Rapporto

 

 

 

Redazione Fidaf

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