Boschi vetusti Mediterranei: pochi ma preziosi

Boschi vetusti Mediterranei: pochi ma preziosi

Per millenni i boschi mediterranei sono stati sottoposti ad un intenso e diffuso sfruttamento da parte di uomini e donne, al punto che oggi non esistono più foreste mediterranee primarie o vergini. La composizione, la struttura e la funzionalità delle foreste attuali sono in larga parte legati alle attività umane. Da diversi decenni, tuttavia, il progressivo abbandono selvicolturale e l’assenza di utilizzazioni forestali, ha fatto sì che alcune aree siano andate incontro a processi di evoluzione e sviluppo quasi esclusivamente naturali.

In alcuni casi, i boschi invecchiati naturalmente da più tempo hanno assunto caratteristiche compositive e strutturali tali da differenziarsi nettamente da quelli gestiti più di recente, e secondo recenti modifiche legislative1 – avendo superato un periodo di invecchiamento naturale di almeno 60 anni senza rilevanti interventi antropici – possono essere definiti boschi vetusti.

Tenendo conto delle peculiarità delle aree mediterranee, una recente ricerca condotta in Sicilia ha ritenuto che l’eterogeneità della struttura, la dimensione degli individui arborei, la quantità di necromassa (biomassa morta) e la ricchezza di specie arboree siano i più importanti indicatori diagnostici dei boschi vetusti mediterranei. Si tratta, in effetti, delle caratteristiche forestali che sono state più profondamente modificate dalla gestione antropica, ed il loro progressivo recupero indica condizioni di crescente naturalità. L’indagine ha consentito di individuare, in Sicilia, popolamenti forestali classificati in tre classi di vetustà – bassa, media o alta – sulla base della rispondenza o meno ai quattro parametri presi in considerazione. Su 21 boschi inizialmente indicati come potenzialmente vetusti – per lo più boschi di roverella, faggete e boschi di leccio e sughera – soltanto 7 boschi hanno raggiunto la più elevata classe di vetustà, confermando la rarità di tali sistemi forestali.

Successive ricerche hanno poi caratterizzato un bosco potenzialmente vetusto di roverella con leccio ed acero campestre, che ha dimostrato di raggiungere molti dei valori di riferimento – riguardanti sia la biomassa viva che la necromassa – delle foreste vetuste mediterranee e temperate. Ad esempio, è stata riscontrata una densità di alberi con diametro superiore a 50 cm pari a 38 alberi ad ettaro, ed una biomassa legnosa epigea per ettaro di circa 364 m3, valori che rientrano nel range dei boschi vetusti temperati. Molto significativo è risultato anche il contributo del legno morto, che rappresenta il 9% della biomassa viva, e raggiungeva la quantità di 30 m3 per ettaro, valori che si avvicinano molto (nel primo caso) e che raggiungono (nel secondo) le soglie di riferimento per le foreste mediterranee, e che rappresentano un risultato inatteso e certamente incoraggiante.

Questa recente scoperta ha incoraggiato ulteriori studi sui boschi potenzialmente vetusti a dominanza di roverella in Sicilia, con lo scopo di analizzarne il livello di vetustà attraverso gli indicatori di riferimento e di proporre adeguati interventi di conservazione e tutela, anche in vista della prossima definizione delle linee guida per l’identificazione dei popolamenti forestali classificabili come boschi vetusti e della tanto auspicata creazione della Rete nazionale dei boschi vetusti.

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Redazione Fidaf

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