Intervento di Antonio Bruno nel Forum dell’ODAF Lecce del 29 dicembre 2020
Gli organismi viventi nascono, di norma, in un ambiente già dato. Ambiente nel quale devono semplicemente trovare l’adattamento ottimale. Ma gli stessi organismi, nel corso del tempo, interagiscono con l’ambiente che propone istante dopo istante, delle perturbazioni che determinano nell’organismo una trasformazione ed un adattamento. E questo adattamento agisce a sua volta sull’ambiente che a sua volta di trasforma. Tutto questo fa dire che gli organismi, istante dopo istante, imparano a sviluppare una strategia di sopravvivenza inedita.
Il Mondo cambia e gli organismi viventi cambiano, cambiando il Mondo attorno a sé, e in alcuni casi rendendolo migliore anche per gli altri.
Un esempio è il castoro. Il castoro costruisce la propria diga e così facendo modifica l’habitat che lo circonda, creando le condizioni che consentono ad altre specie di vivere. Nel linguaggio tecnico diciamo che il castoro è un costruttore di nicchie.
Nella condizione attuale del Salento leccese, potremmo sostenere che i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese dovrebbero essere come il castoro. Dovrebbero costruire nicchie.
Se fino ad oggi i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese erano visti come complemento utile ma non necessario, leggerlo attraverso la metafora del castoro permette di comprendere la sua capacità generativa per l’intero ambiente che ci circonda.
Dal Settecento a oggi, ogni qual volta si è realizzata una rivoluzione industriale questa ha determinato il passaggio di lavoratori e di coloro che operavano in un certo settore ad un altro settore.
La prima rivoluzione industriale ha spinto alla fuoriuscita di forza lavoro dall’agricoltura alle fabbriche. Il sovrappiù generato dalla rivoluzione industriale è andato così a creare il secondario, ossia il settore industriale.
La seconda rivoluzione industriale, agli inizi del Novecento, ha invece creato il settore dei servizi, il terziario.
Oggi viviamo nel tempo di una nuova rivoluzione industriale e dobbiamo chiederci dove finirà il sovrappiù sia di lavoro sia di produttività che le nuove tecnologie del digitale e dell’intelligenza artificiale stanno per determinare.
Dobbiamo chiederci dove andremo ad allocare questo sovrappiù di forza lavoro e di produttività.
C’è chi avanza una prospettiva di neoconsumismo: si dovrebbe spingere affinché questo sovrappiù diventi un volano per la domanda pagante, con lo svantaggio di deumanizzare la società. Ci basta? Non credo proprio. C’è infatti un’altra prospettiva che fa entrare in gioco il Paesaggio Rurale, pensato come luogo che genera valore sociale nella forma di beni ambientali e del cibo.
Proprio perché le nuove tecnologie consentono un avanzamento rispetto ai bisogni elementari, dobbiamo usare questi avanzamenti per aumentare la fruibilità di beni ambientali e del bene cibo.
Beni di cui c’è un bisogno estremo. Ma per far questo torniamo al punto di partenza e la domanda è: è opportuno che nel Salento leccese agisca un soggetto capace di innovazione ambientale ed alimentare?
E se come penso la risposta dei Dottori Agronomi è affermativa la seconda domanda da farsi è: il soggetto di cui si tratta può essere l’insieme dei proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese?
Dai miei studi e dall’evidenza dei fatti la mia risposta non può essere che negativa e di seguito tento di spiegare le regioni della loro esclusione.
Gli imprenditori agricoli iscritti alla camera di Commercio di Lecce sono circa novemila e solo mille di questi sono vere e proprie aziende che producono per il mercato.
L’azione di questa Aziende agricole incide sul 20 o al massimo 30 per cento dei 200mila ettari della Provincia di Lecce quindi su 40mila o al massimo 60 mila ettari. Ed i restanti 140mila ettari?
Come sappiamo tutti questi fondi sono abbandonati perché i proprietari hanno un’età che sfiora gli 80 anni oltre che per la dimensione della proprietà che per il 60% non raggiunge l’ettaro e che nella stragrande maggioranza non supera i due ettari e mezzo.
C’è chi afferma che la strada da perseguire per questi ultimi dovrebbe essere la cooperazione. Francamente non credo che persone che sfiorano gli ottant’anni abbiano tra le loro priorità quelle di costituire cooperative agricole.
Allora bisogna pensare in prospettiva. E soprattutto dobbiamo cominciare a immaginare un Paesaggio Rurale che dia prosperità.
La prosperità deve essere inclusiva e di conseguenza non deve escludere. E proprio le sfide della “Prosperità inclusiva” aprono quella dei beni comuni, che comprende i digital commons, le piattaforme, le infrastrutture e le reti.
Mi chiedo e chiedo ai colleghi: e se cominciassimo a pensare il Paesaggio Rurale del Salento leccese nella sua qualità di bene comune?
Ecco vi propongo di farlo, facciamo questo gioco, ovvero pensiamo per un istante che il nostro Paesaggio Rurale non è più proprietà di alcuni privati ma diventa un bene comune ovvero proprietà della Comunità. E’ chiaro che subito vengono fuori delle domande.
Quale tipo di governance vogliamo dare a questi nuovi beni comuni?
A tal riguardo, voglio fare riferimento alla Commissione sulla Giustizia Economica ha diffuso un discussion paper titolato The Digital Commonwealth. È un documento significativo, ma anche rivelatore.
Rivela che tutti avvertiamo l’esigenza di una governance per i digital commons, ma su quale debba essere il modello di governance per gestire i digital commons c’è ancora molta incertezza.
La mia proposta è che, su questo fronte, proprio i cittadini del Salento leccese e le loro associazioni dovrebbero buttarsi a capofitto, occupandosi della definizione di questa governance.
Un’altra area di costruzione di nicchia riguarda le intelligenze artificiali. L’intelligenza artificiale, oggi, o è sviluppata in una modalità market driven o in una modalità state driven: o è guidata dalla logica del profitto o da una logica statale (il modello cinese, per intenderci).
Per quanto riguarda il Paesaggio rurale secondo me la logica del profitto che è stata applicata in tutti questi decenni non ha funzionato. Basta fare una passeggiata nel nostro territorio per accorgercene.
Ciò che propongo per il Paesaggio rurale del Salento leccese è una modalità state driven in analogia a quanto fatto con la Riforma Fondiaria degli anni 50 del secolo scorso costituendo per Legge Regionale un Ente specifico per la gestione dell’agricoltura del Salento Leccese.
La questione sollevata è di grande rilievo. Bisogna considerare anche la prospettiva dei servizi ecosistemici offerti dal paesaggio agrario, del loro ben noto valore economico e dell’annosa questione di chi paga per la loro fruizione. Se della manutenzione del paesaggio si avvantaggiano gli operatori turistici più degli imprenditori agricoli, perché gli imprenditori agricoli si devono sobbarcare tutte le spese?