Riduzione di perdite e sprechi alimentari
There’s No Such Thing as a Free Lunch (Milton Friedman)
Ai tempi del vecchio West, nella seconda metà dell’Ottocento, fuori dai Saloon si poteva leggere la scritta “free lunch”. I proprietari dei locali attraevano i passanti, offrendo pasti gratis al solo costo della birra.
Alcuni clienti, i meno ubriachi, denunciarono alcuni titolari dei Saloon per pubblicità ingannevole e le scritte sparirono. L’imbroglio si aggravava nel fatto che il cibo era spesso molto salato per far aumentare il consumo di bibite alcoliche, spendendo così l’avventore più del costo dell’intero pasto completo.
Il Premio Nobel dell’economia, Milton Friedman, la usò per indicare uno dei principi fondamentali dell’economia: quello del costo-opportunità.
Secondo Friedman, ciò che può essere gratuito per un individuo, in realtà nasconde sempre un costo: il prezzo pagato dalla società nel rinunciare all’opportunità di destinare le medesime risorse ad usi alternativi.
Recentemente l’espressione di Friedman è stata impiegata anche dai movimenti ambientalisti, al fine di portare all’attenzione del pubblico l’importanza di un uso consapevole delle risorse naturali. Come il capitale e la forza lavoro, infatti, neppure le risorse naturali si creano dal nulla né sono illimitate; il loro utilizzo, dunque, implica sempre un costo per l’ambiente e, in definitiva, per il benessere dell’individuo e della società.
Tutto ciò del quale noi oggi abusiamo sarà a costo delle future generazioni che sono degli stakeholder silenti i cui lawyers sono le associazioni ambientaliste, i movimenti, dovrebbero essere la politica, la società.
Anche le piccole comunità locali sono stakeholder silenti, di natura “passiva”, poiché portatrici silenziose di una serie di richieste. Per esempio dell’abolizione di determinate emissioni nocive, oppure di avere un qualche diritto. Quando la comunità viene rappresentata, in queste richieste, dall’amministrazione municipale, provinciale o regionale o da un comitato di cittadini, queste forme organizzative divengono attive.
Oggigiorno, in epoca di grande sensibilità verso gli impatti che gli impianti produttivi hanno sull’ambiente e il tessuto sociale, si arriva persino a sostenere che l’ambiente – inteso come l’aria, l’acqua, il terreno – sia uno stakeholder passivo, poiché viene influenzato dalle scelte produttive, ma non ha “voce” per portare i propri interessi, i quali in forma attiva verranno, come sopra esemplificato, portati dagli organi di governo locale piuttosto che da un comitato di difesa ambientale.
In questo paradossale paradigma economico oggi dobbiamo inserire gli sprechi, e considerare tutta una serie di nuovi stakeholder silenti che sono i diversi attori del sistema agroalimentare che vedono “sprecato” il frutto del loro lavoro e vilipeso il loro lavoro da un sistema consumistico esagerato e basato sulla corsa frenetica non solo al consumo ma anche alla produzione massiva di beni destinati a non si sa chi.
Senza volerlo approfondire oggi si rimanda al “Theorien über den Mehrwert” di C. Marx pubblicato, dopo la sua morte, nel 1910. (Teorie del Valore Aggiunto – il plusvalore)
Facciamo un po’ di storia (…ma poca)
Uno degli impegni più grandi che ha preso già dal 2015 l’ONU è stato quello di “creare nuovi percorsi per i Sistemi di nutrizione, agricoltura e alimentazione”.
Si tratta dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDGs) n.2 “FAME ZERO: porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile”.
Tale impegno è la evoluzione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) e quindi, perfettamente in linea con quei traguardi, e di fatto rafforza i risultati raggiunti attraverso una sistematizzazione sempre più puntuale ed attenta al contesto globale in cui si inserisce.
Nella “Dichiarazione di Roma sulla nutrizione” ed il “Quadro d’Azioni Integrativo” sono chiari gli impegni e le modalità di azione dei circa 170 Paesi membri. Sono evidenti le carenze dei sistemi di lavorazione, distribuzione e commercializzazione degli alimenti, ancora inefficienti poiché risultano ancora carenti la disponibilità e l’accessibilità dei cittadini a varie categorie alimentari.
Si inizia a capire l’esigenza di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. In questo obiettivo è posto il traguardo “entro il 2030 di dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post – raccolto”.
Le perdite e gli sprechi alimentari costano all’economia mondiale circa 990 miliardi di USD ogni anno, questi sprechi costituiscono un consumo approssimativo pari ad un quarto di tutta l’acqua utilizzata a fini agricoli e sono responsabili di circa l’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra.
“Le più recenti stime dei livelli di rifiuti alimentari europei rivelano che il 70% dei rifiuti alimentari UE si pone nei settori delle famiglie, nei servizi di ristorazione e di vendita al dettaglio, con i settori di produzione e trasformazione che contribuiscono per il restante 30%” (Anna Lartey – FAO).
Si percepisce pertanto l’importanza della salvaguardia del prodotto dal punto di vista dello spreco. Va rilevato quanto sia importante cibo e nutrizione vanno analizzati e considerati sotto l’aspetto economico della quantità ma anche sotto quello della qualità dello stesso.
L’excursus normativo della Legge 166/2016
La legge 155/2003 venne emanata ai fini di disciplinare la distribuzione dei prodotti alimentari per solidarietà sociale. Conosciuta come la legge del “buon samaritano” intendeva provvedere alla distribuzione agli indigenti del cibo inutilizzato proveniente da mense scolastiche ed aziendali, ristoranti e supermercati. Quell’eccedenza, altrimenti destinata alla distruzione veniva, per così dire, “adottata” dalle organizzazioni preposte.
Molti furono i “balzelli” che costarono l’inabissamento, sia pure parziale, del provvedimento. Tutti di natura fiscale. Tuttavia, per il solo comparto della ristorazione, tra il 2010 ed il 2013, si passò dal 1.000 ton al 2.600 ton di recuperato (dati Banco Alimentare).
Il recupero prevedeva anche la filiera del fresco ma questa presentava criticità tutte peculiari. Occorreva, per gli ovvi motivi di fronteggiare la deperibilità, potenziare la comunicazione verso i potenziali donatori, costituire delle piattaforme stabili di recupero dotate di abbattitori di temperatura, prevedere un trasporto disciplinato conforme al rispetto del mantenimento della catena del freddo (con temperature comprese tra 0° e -4°), individuare persone che potessero, per professionalità e competenza, stoccare il prodotto e predisporlo all’invio.
Si dovranno aspettare 13 anni con il varo della Legge 166 del 19 agosto 2016, ovvero “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”, meglio nota come Legge Gadda, basata sulla libera iniziativa di aziende ed organizzazioni non-profit, ed altresì sulla concessione di incentivi ed agevolazioni per i donatori, e verificare se, anche rispetto ai provvedimenti adottati in Europa, vi sia un reale e fruttuoso dialogo con i traguardi previsti dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile in materia di nutrizione.
Facciamo un po’ di chiarezza
Nella marea delle definizioni di spreco si vuole qui sintetizzare per chiarezza cosa indentiamo per:
Food losses: perdite in ‘massa’ edibile, o anche di contenuto nutrizionale, che avvengono lungo tutta la catena dell’offerta o filiera di produzione, per giungere al consumo finale (produzione in campo, raccolto e trasporto, trasformazione). Sono perdite dovute, tra l’altro, ad inefficienze, carenze tecnologiche, capacità ridotte, ridotto accesso ai mercati, disastri naturali
Food waste: perdite che avvengono nella fase finale della catena dell’offerta (spreco propriamente detto, indipendentemente dal fatto che il prodotto venga tenuto o meno oltre la data di scadenza), a causa di una incorretta gestione degli approvvigionamenti o di cattive abitudini alimentari e di acquisto. Perdite e sprechi riguardano solo i prodotti destinati all’alimentazione umana. Se alcuni prodotti inizialmente destinati all’alimentazione umana vengono riutilizzati come alimenti animali o per altri scopi non alimentari, come le bioenergie, costituiscono simile perdita/spreco: food wastage.
Lungo tutta la catena produttiva e distributiva del Sistema agroalimentare gli sprechi ci sono nelle diverse fasi così riassunte:
- produzione agricola: perdite dovute, tra le altre ragioni, alle operazioni di campo o di raccolta, morte o malattie di animali.
- post raccolta: tra gli altri episodi, perdita di animali, danneggiamento o deterioramento di prodotti.
- trasformazione: perdite e deterioramento, nella fasi di trasformazione e di packaging
- distribuzione: perdite legate ai sistemi di mercato (mercati all’ingrosso ed al dettaglio).
- consumo: perdite nel momento del consumo
Si basti porre l’attenzione sul fatto che nel mondo, ci sono circa 5 miliardi di ha di terra disponibili per coltivazioni e pascoli.
Ogni anno, circa 1,4 miliardi di ha sono utilizzati per produrre cibo non consumato! (più di Canada e India insieme)
Il ‘contributo’ maggiore (negativo) viene dai prodotti zootecnici che incidono per il 78%, pur essendo lo spreco alimentare legato a carni e prodotti lattiero-caseari soltanto l’11% del totale.
La maggioranza delle superfici utilizzate per produrre prodotti zootecnici (carne e latte) oggetto di spreco sono non-arabili (troppo caldo/freddo, scarsità di nutrienti nel terreno, mancanza di acqua): sinonimo di concentrazione dello spreco in paesi in via di sviluppo
Un modello vincente nella lotta agli sprechi: i Food Hub
Un Food Hub è un’azienda o un’organizzazione che gestisce attivamente l’aggregazione, la distribuzione e il marketing di prodotti alimentari che provengono da produttori regionali, per rafforzare la loro capacità di soddisfare la domanda all’ingrosso, al dettaglio e istituzionale.
Fornendo aggregazione, distribuzione e servizi di marketing, i Food hub sono in grado di giocare un ruolo chiave per soddisfare contemporaneamente i bisogni dei produttori e i bisogni dei consumatori. Perché se da una parte i singoli agricoltori e produttori non sono in grado di offrire una sufficiente produzione che sia consona al soddisfacimento delle richieste dei più grandi acquirenti, come quelli istituzionali, gli acquirenti più grandi faticano a trovare produttori locali che posso offrire una consistente fornitura di prodotti coltivati su territorio locale per soddisfare la domanda dei consumatori. I Local Food Hub, intesi come una particolare configurazione di filiera corta, offrono un ponte tra i produttori di generi alimentari e i consumatori, fornendo un rapporto di reciproco vantaggio per le estremità del sistema alimentare. Inoltre rappresentano un’opportunità per la comunità: da una parte, l’approvvigionamento di cibo sano per i consumatori e, dall’altra, la creazione di un’impresa redditizia per i produttori, distributori e rivenditori, migliorando allo stesso tempo l’accesso ai cibi locali.
I Centri Agroalimentari sono stati gli antesignani dei Food Hub e sono efficienti e moderne piattaforme logistico-distributive (quasi sempre di proprietà e gestione pubblica) che hanno sin da subito avuto la funzione di connessione tra domanda e offerta in maniera trasparente e sono stati volano di sviluppo imprenditoriale.
Su spinta del Programma Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare (2014) nascono diversi esperimenti e laboratori, merita attenzione per importanza il progetto Last Minute Market, spin off accademico dell’Università di Bologna che ha l’obiettivo di declinare al meglio i compiti, le attività e le responsabilità inerenti la raccolta e la gestione del prodotto fresco. Il Progetto prevede una vera e propria piramide funzionale che assegna ruoli e compiti alla catena di comando e gestione del processo di valorizzazione e riutilizzo degli sprechi financo a definire le modalità di conservazione degli alimenti, la redazione dei DDT etc
Quell’esperienza è valsa innanzi tutto a muovere un adeguato livello di sensibilità nei confronti della responsabilità dei Mercati all’ingrosso all’interno della catena del recupero e quindi a far partire un avvio di “buone pratiche” declinate al contenimento ed al recupero del prodotto fresco e freschissimo.
L’aspetto positivo che può essere colto sta non nei numeri ma nella sopraggiunta maturata consapevolezza che queste enormi piattaforme possono rappresentare un segmento importante e strategico del Sistema Agroalimentare, non da meno a causa dei grandi numeri che vi insistono.
Forse per la prima volta accanto alla redazione dei bilanci contabili sono stati presi anche in considerazione quei fattori che ineriscono la politica economica in un ambito di sviluppo integrale, ovvero di una sostenibilità “operativa” che tiene conto, qui ed ora, del valore intrinseco della dignità della persona. Si è constatata infatti la necessità di considerare ragionevolmente la “dignità” non da accessorio ultimo ma nelle premesse, in quanto fondamento dei diritti umani.
Si è preso in considerazione il problema delle risorse materiali (e non) di cui l’uomo necessita e di come misurare questa necessità. La prospettiva contemporanea impone infatti improcrastinabili linee di sviluppo economico integrative: le cosiddette “supply chain”.
Sono state perciò messe a punto una serie di misure e sono stati adottati strumenti atti a “garantire il corretto funzionamento dei mercati delle materie prime alimentari e loro derivati così da facilitare l’accesso rapido alle informazioni di mercato, incluse le riserve di cibo, al fine di contribuire a limitare l’instabilità estrema dei prezzi e dei beni alimentari”.
Nel merito della finanziarizzazione dei prezzi agricoli e del fenomeno meglio descritto come commodity future vale un’ultima peculiare riflessione su quanto sia stato importante adottare – specie nei grandi Ortomercati – una politica di best practices in tema di formazione del prezzo, quale risposta ai tentativi di distorsione messi in atto in particolari condizioni, come ad esempio quelle legate al clima od ai flussi di produzione, stante che “in un mondo interconnesso e profondamente diseguale, quello che succede ai prezzi dei prodotti alimentari fa una grande differenza nella vita quotidiana di migliaia di persone” .
Da un punto di vista critico si ritiene che molto vi sia ancora da fare per definire “a regime” la raccolta dell’invenduto fresco nei Centri Agroalimentari. Occorre infatti monitorare costantemente le prestazioni e migliorare l’efficienza. Si tratta certo di un “work in progress” di cui, con apprensione, si resta di conoscere gli esiti. Certamente la sfida non si vince contribuendo a sfamare gli indigenti, ma a supplire alla loro malnutrizione.
Un esempio pratico
Già dal 2017 il Centro Agroalimentare Roma e le A.C.L.I. Provinciali di Roma hanno avviato una collaborazione volta al recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari, ai sensi della legge 166/2016. CAR e ACLI hanno così iniziato un percorso condiviso per la raccolta e redistribuzione del pane e dei cibi in scadenza nella città di Roma. In questo modo il CAR ha potuto limitare al massimo gli sprechi di ciò che non sarebbe stato indirizzato alla trasformazione e poteva essere reindirizzato alle mense. E’ fondamentale avere questo canale parallelo (di supporto) perché la fase di trasformazione non può essere stimata al 100%.
Due aspetti sono stati presi in considerazione più degli altri: la necessità di far comprendere agli operatori il giusto grado di coinvolgimento ad adoperarsi per le cessioni (consapevolezza e non solo la convenienza economica) e l’informatizzazione del procedimento.
Questi due aspetti sono stati ritenuti fondamentali ad evitare il rischio di recuperare ma non di avere effettiva contezza di chi cede ed a quanto ammonti la contabilità totale defiscalizzata.
Questo passaggio si rese altresì necessario poiché sancì il passaggio dalla fase “spontanea” ad una fase invece organizzata ed efficientata grazie alla L.166/2016. Gli impegni sanciti dal Protocollo possono essere così sintetizzati. Per parte di ACLI:
a) realizzare, con finalità civiche e solidaristiche, attività di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari provenienti dal Centro Agroalimentare Roma prevedendo corrette prassi operative al fine di garantire la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, in conformità a quanto stabilito dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e dall’articolo 1, comma 236, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, come modificato dall’articolo 7 della legge 166/2016;
b) agevolare la compilazione del DDT (documento di trasporto) da parte dell’azienda cedente, contenente tutte le prescrizioni fiscali previste dalle normative in vigore;
c) archiviare e conservare i DDT ricevuti dal Centro Agro Alimentare e predisporre un’apposita dichiarazione trimestrale di utilizzo dei beni ceduti;
d) recarsi in un orario prestabilito, dal lunedì al sabato presso il Centro Agroalimentare Roma con un mezzo di trasporto refrigerato ATP per ritirare le eccedenze alimentari da donare a fini solidaristici;
e) promuovere e consolidare le sinergie con altre organizzazioni e realtà dove far pervenire le eccedenze alimentari per l’ATTIVAZIONE DI UNA RETE SOLIDALE;
f) promuovere presso il Comune di Guidonia le organizzazioni solidali per la riduzione della tassa dei rifiuti, ai sensi dell’art. 17 della legge 166/2016.
Per parte di CAR ScpA:
a) laddove ce ne sia la disponibilità, donare le eccedenze alimentari, con finalità civiche e solidaristiche, alle A.C.L.I. prevedendo corrette prassi operative al fine di garantire la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, in conformità a quanto stabilito dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e dall’articolo 1, comma 236, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, come modificato dall’articolo 7 della legge 166/2016;
b) emettere in triplice copia il DDT (predisposto dalle A.C.L.I. Provinciali di Roma) progressivamente numerato contenente tutte le prescrizioni fiscali previste dalle normative in vigore;
c) comunicare telematicamente all’amm.ne finanziaria o ai comandi del corpo della guardia di finanza riepilogativa delle cessioni effettuate in ciascun mese, entro il giorno 5 del mese successivo a quello in cui sono state effettuate le cessioni, qualora i beni superino il valore di Euro 15.000, per ogni singola cessione; per le cessioni di eccedenze alimentari facilmente deperibili si è esonerati dall’obbligo di comunicazione (art.16 c. 3 L.166/016).
La criticità che appariva più dirimente da risolversi restava la logistica del recupero e quindi della trasformazione. In casi di sovrabbondanza di prodotto, come spesso accade nei periodo estivi, da parte delle associazioni non vi è la capacità organizzativa di assorbire tanto esubero. In questo caso quindi è stato importante poter disporre di una piattaforma di stoccaggio refrigerato presso il Mercato e di un potenziamento nella catena di trasformazione in ogni suo passaggio.
A tale proposito interviene il progetto Bit Good a cui CAR ha voluto aderire come primo Mercato in Europa, volto a sperimentare la fattibilità di una blockchain dell’invenduto al fine della creazione di una economia tanto più circolare quanto più virtuosa all’interno dei Mercati.
Tuttavia “ad intra” CAR ha continuato a potenziare le attività di recupero delle eccedenze alimentari. Si cita nel merito l’adesione al progetto, a valere sulla L. 166/2016, portato avanti dal Ministero per le Politiche Agricole Forestali ed al progetto “Food Loss and Waste Low” con la FAO in joint venture con Bruxelles. Sempre in materia il Protocollo sottoscritto con la Comunità di Sant’Egidio, tra le più rappresentative nella città di Roma per quanto attiene il terzo settore, al fine di individuare iniziative di solidarietà sempre legate al recupero. Basti citare “LA SOLIDARIETA’ AL CAR NON VA IN FERIE” grazie a cui, nel mese di agosto 2019 non solo è stata attivata una raccolta di invenduto straordinaria ma è stato portato nelle carceri laziali un messaggio di solidarietà e vicinanza attraverso la “COCOMERATA SOLIDALE”, un’iniziativa che ha ottenuto il plauso delle rappresentanze istituzionali del Ministero degli Interni all’uopo preposte.
Cosa è cambiato?
Gli obbiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile basa il suo programma d’azione sulle persone, il pianeta e la prosperità.
La pandemia che ha colpito il mondo in questi mesi pone come assolutamente centrale la necessità di un ripensamento sui nostri stili di vita.
Le necessità, molto evidenti a tutti non potevano non interpellare le nostre coscienze ad un impegno sempre più efficace e strutturato che coinvolgesse attori diversi in una logica di rete.
Nel periodo del precedente lock down la Rete dei Centri Agroalimentari (Italmercati) ha donato, tra recuperato e raccolto, oltre 950 tonnellate di prodotto fresco e freschissimo (circa 4 milioni di porzioni che sono state distribuite ad otre 80 mila nuclei familiari).
Con l’hashtag #InsiemeCeLaFaremo il CAR ha donato nello stesso periodo oltre 450 tonnellate di prodotto fresco (anche pesce) a enti caritativi come Caritas e CRI ma anche a piccole realtà e a Parrocchie, assistendo 41 mila nuclei familiari e donando complessivamente 2 milioni di porzioni di cibo.
A fronte di una richiesta aumentata per circa il 40%, questi numeri risultano raddoppiati rispetto all’intero anno precedente tanto che la FAO ha voluto annoverare gli operatori di CAR tra i Food Heroes 2020.
Nel 2019 CAR ha meritato il premio Telaio Solidale e quest’anno il premio “Isola Solidale per il sociale 2020” conferito a enti, associazioni e società che si sono distinte in attività di solidarietà nella Capitale e non solo durante il blocco dovuto al Covid 19.
Inoltre la FAO ha premiato il modo di operare del CAR insignendolo del titolo di Food Heroes: dietro ai nostri alimenti c’è sempre qualcuno che li ha prodotti, coltivati, raccolti, pescati o trasportati. La Giornata Mondiale dell’Alimentazione di quest’anno è stata l’occasione per ringraziare tutti gli #EroiDellaAlimentazione che, a prescindere dalle circostanze, hanno continuato e continuano a fornire prodotti alimentari alle loro comunità e oltre, contribuendo a coltivare, nutrire e preservare il nostro mondo.
Produttori, grossisti e distributori di prodotti agricoli e pesce freschi sono stati tra gli operatori che hanno continuato a lavorare fin dall’inizio della pandemia del COVID-19. I soci del consorzio Centro Agroalimentare Roma hanno dovuto adeguare i loro metodi di lavoro adottando norme igieniche e di sicurezza più rigorose, spesso a costi operativi più elevati, per garantire la consegna di prodotti stagionali e regionali ai mercati di Roma e dintorni.