Al via il contraddittorio preventivo
Non vogliamo affatto tediarvi con il lungo percorso, soprattutto giurisprudenziale, che ha condotto il legislatore all’esigenza di normare in ordine all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo.
Il problema si è posto per via dei principi di carattere generale dell’ordinamento tributario presenti sia nella Carta Costituzionale sia nello Statuto del Contribuente. Ma non solo: un elemento di rilievo è costituito dalle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dal relativo impatto sui tributi c.d. “armonizzati”, ossia l’IVA, laddove è sempre richiesta l’adeguata motivazione degli atti che in via potenziale possono arrecare pregiudizio nei confronti di qualsiasi individuo. Volendo fornire qualche richiamo normativo, i riferimenti principali da tener presente sono:
- L’articolo 97 della Costituzione, che richiede il buon andamento e imparzialità dell’amministrazione finanziaria;
- l’articolo 10, comma 1, dello Statuto del Contribuente, in forza del quale “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”;
- l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconosce “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio” e pone “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni”.
In termini pratici, il problema può riassumersi nell’esigenza della corretta determinazione della pretesa fiscale prima che si giunga all’emanazione di un vero e proprio atto di accertamento o di rettifica. La distinzione non è di poco conto, in quanto l’obiettivo perseguito è di consentire, a priori, l’adeguata difesa del contribuente, il quale motivando le proprie ragioni potrà bloccare o comunque limitare in parte le presunzioni dell’amministrazione finanziaria, in modo da consentire l’emanazione di un atto non spropositato negli importi.
Un simile risultato porta rilevanti vantaggi:
- in termini deflattivi del contenzioso (con riduzione delle liti e contenimenti dei relativi costi per entrambe le parti);
- in ordine alla certezza della riscossione (che non sarà oggetto di lungaggini burocratiche);
- di risparmio effettivo del dovuto per il contribuente (che porterà a casa non solo imposte ridotte, ma soprattutto sanzioni applicate in misura contenuta e debitamente abbattute).
Lo scenario normativo e giurisprudenziale di riferimento
L’ordinamento tributario italiano non prevedeva, salvo sporadici casi, l’obbligo del contraddittorio preventivo. Ad esempio, nel caso del redditometro o degli studi di settore il legislatore ha espressamente prevista la prioritaria necessità di confrontarsi con il contribuente controllato, pena la successiva nullità dell’atto; in tante altre ipotesi, però, non vi erano disposizioni esplicite, con assenza di altrettanto esplicite conseguenze in termini di illegittimità dell’azione di recupero.
Solo in presenza di verifiche fiscali e a seguito della consegna del Processo Verbale di Constatazione, in forza dell’articolo 12 dello Statuto del Contribuente è stabilita la necessità di attendere 60 giorni (dedicati al vaglio critico del PVC e alla produzione di eventuali memorie di parte), prima dell’emissione dei conseguenti atti di accertamento e rettifica. Come anticipato, però, vi erano principi immanenti nel diritto italiano, nonché in quello comunitario, che lasciavano intuire l’esistenza di un obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo.
La tematica del confronto preventivo con l’amministrazione finanziaria ha interessato in maniera importante la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si è pronunciata sul tema anche con diverse conclusioni delle stesse Sezioni Unite.
Può dirsi che sostanzialmente il riferimento principale è contenuto nella sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015, che ha ritenuto applicabile in riferimento al tributo “armonizzato” (come detto l’IVA), l’obbligo generalizzato del concordato preventivo, sanzionato, in caso di violazione, con la nullità del conclusivo atto impositivo, sempreché il contribuente offra la c.d. prova di resistenza, dimostrando che il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Nel modo seguente si è espressa la Suprema Corte sull’onere difensivo della predetta “prova di resistenza”: “l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, …. non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato …., e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto”.
Peraltro, è interessante anche la conclusione della sentenza n. 701 del 15 gennaio 2019, in cui la Suprema Corte ha ulteriormente precisato che non ci si deve limitare a distinguere tra tributi armonizzati e non armonizzati, ma deve aversi riguardo all’eventuale assenza di una specifica previsione del legislatore nazionale che sanzioni con la nullità l’atto emesso senza il prioritario svolgimento del contraddittorio: se la norma esiste, trova applicazione per tutti i tributi (è l’ipotesi classica delle verifiche fiscali, al cui termine è previsto un periodo di 60 giorni in cui il processo verbale di constatazione deve essere oggetto di vaglio critico, senza emissione dell’atto, oppure degli accertamenti da studi di settore o redditometro); se la norma manca, subentrano i principi comunitari (incluso il limite della prova di resistenza).
Il nuovo contraddittorio preventivo obbligatorio
Il legislatore ha sostanzialmente recepito le predette conclusioni della Suprema Corte, introducendo con il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, il nuovo articolo 5-ter nel decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, che testualmente prevede:
- L’obbligo di effettuare l’invito a comparire prima della notifica dell’accertamento, salvo il caso in cui al contribuente è stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo;
- La non estensione dell’obbligo del contraddittorio preventivo agli avvisi di accertamento parziale (gli accertamenti parziali sono quegli atti emessi sulla base di informazioni in possesso dell’amministrazione finanziaria, come ad esempio la percezione di una locazione non dichiarata o di redditi in genere);
- La necessità di redigere l’avviso di accertamento con una motivazione “rafforzata” circa le ragioni che hanno condotto l’ufficio a non accettare le osservazioni ed eccezioni sollevate dal contribuente nell’ambito del procedimento di contraddittorio preventivo;
- La possibilità di derogare al contraddittorio preventivo nei casi di particolare urgenza e/o di pericolo per la riscossione;
- La previsione dell’invalidità dell’atto non preceduto dall’invito a comparire, ma in abbinata alla c.d. “prova di resistenza”, in precedenza descritta;
- La conferma delle altre disposizioni che già prevedono l’obbligo del contraddittorio preventivo.
Decorrenza e limiti
Il nuovo articolo trova applicazione in riferimento agli avvisi di accertamento emessi a decorrere dal 1° luglio 2020 e al fine del suo corretto funzionamento è stato anche stabilito che, qualora tra la data di comparizione e quella di decadenza dell’azione di accertamento intercorrano meno di 90 giorni, lo stesso termine di decadenza è automaticamente prorogato di 120 giorni.
Infine, per tutti gli atti per i quali è svolto il contraddittorio preventivo senza il raggiungimento dell’accordo, nonché per le casistiche in cui è il contribuente a non rispondere all’invito, è altresì previsto l’esplicito divieto di poter proporre, a seguito del ricevimento dell’avviso di accertamento, istanza per l’avvio della procedura di accertamento con adesione (trattasi di disposizione di estrema delicatezza soprattutto nell’ottica del rispetto dei termini di proposizione del ricorso: in pratica se si riceve un atto che sottolinea lo svolgimento del contraddittorio preventivo, bisogna ricordarsi che non si potranno mai ottenere i fatidici 90 giorni in più per la redazione del ricorso, essendosi in presenza di un termine “bloccato” di 60 giorni, fatta eccezione per l’interruzione feriale legata al mese di agosto).
Le indicazioni della circolare 17 del 2020
La nuova disposizione normativa è stata analizzata dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 17 del 2020, laddove anzitutto è precisato che:
- il nuovo obbligo riguarda gli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, Irap, IVIE, IVAFE e IVA;
- solo l’agenzia delle entrate è tenuta a rispettare l’obbligo normativo, mentre il contribuente può anche non parteciparvi (in tali ipotesi è evidente che il contribuente dovrà difendersi in contenzioso tributario, rammentando che non è possibile avviare la procedura di adesione).
Dopo di che è rivolto l’invito agli uffici periferici di estendere l’utilizzo del procedimento di contraddittorio preventivo anche alle altre fattispecie in cui non vi è obbligo di legge, facendo comunque una puntualizzazione circa la presenza dei processi verbali di constatazione e degli accertamenti parziali (circostanze in cui, come in precedenza evidenziato, il legislatore non prevede l’obbligo di cui si discute).
Il documento di prassi “suggerisce” un’applicazione ampia del nuovo istituto, ma allo stesso tempo evidenzia che la deroga all’attivazione del dialogo preventivo è da attuare quando si è in presenza di recuperi fondati su elementi certi, rispetto ai quali in pratica vi è poco da riflettere.
Gli esempi svolti al riguardo sono:
- Il rilievo contenuto nel PVC in ordine alla mancata contabilizzazione di una fattura emessa;
- Il recupero con accertamento parziale di redditi segnalati da altre fonti (si pensi, ad esempio, ad un reddito di locazione o un dividendo non dichiarato).
In tali ipotesi è di tutta evidenza che oltre all’esclusione normativa, l’ufficio competente può derogare anche all’invito della circolare n 17/2020 atteso che, di fatto, non vi sono elementi da chiarire e i recuperi sono inconfutabili (tanto che al contribuente conviene porvi subito rimedio con il ravvedimento o aderendo all’accertamento per portare a casa sanzioni ridotte).
Importanti puntualizzazioni sono poi effettuate in riferimento alle due casistiche che permettono di “superare” il contraddittorio preventivo:
- per quanto riguarda le ragioni d’urgenza, viene allertata l’attenzione degli uffici sul pericolo derivante sia da reiterate violazioni del contribuente che comportino l’obbligo di denuncia per reati tributari, sia dall’emersione di una circostanza imprevedibile e sopravvenuta che impone una stretta tempistica per gli adempimenti;
- in riferimento al fondato pericolo per la riscossione, si richiede una sorta di motivazione rafforzata tesa ad illustrare il “fondato timore” di perdere la garanzia del credito.
La motivazione rafforzata è invece obbligatoria qualora, pur a seguito del contraddittorio preventivo, non si giunga ad una rideterminazione concordata della pretesa erariale con relativa mancata adesione di parte. In tale ipotesi l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio deve essere specificatamente motivato con riferimento “ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente”. Sul punto in particolare il documento di prassi evidenzia che gli uffici non possono limitarsi a “motivazioni di stile”, con frasi ciclostilate, ma devono analizzare nel dettaglio le ragioni sollevate dalla parte e adeguatamente replicare, pena altrimenti la nullità dell’atto per difetto di motivazione. Dal che deriva un importante principio che il contribuente deve far proprio: il contraddittorio preventivo rappresenta una sorta di contenzioso anticipato ed è quantomai delicato, essendo fondamentale svolgerlo in maniera adeguata e con l’assistenza di professionisti qualificati.
Le ultime precisazioni riguardano la proroga dei termini di notifica degli atti di accertamento e l’entrata in vigore della nuova disposizione. Su tali punti l’agenzia evidenzia che:
- la proroga di 120 giorni per il termine di notifica si applica in tutte le ipotesi in cui un invito è formulato, anche se trattasi di avvio “facoltativo” della procedura. Sul piano pratico, ipotizzando un invito con data di comparizione fissata dopo il 3 ottobre dell’anno N, con riferimento ad un periodo di imposta il cui termine di decadenza per l’accertamento è previsto per il 31 dicembre del medesimo anno N (con dunque periodo intercorrente 3 ottobre – 31 dicembre, inferiore a 90 giorni), in caso di mancato perfezionamento dell’adesione l’ufficio può notificare l’avviso di accertamento beneficiando della proroga di 120 giorni a decorrere dal 1° gennaio dell’anno N+1;
- rientrano nella nuova disposizione gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, ossia gli atti datati e sottoscritti dal titolare dell’ufficio (o da un suo delegato) a partire da tale data. La data in cui il contribuente ha ricevuto l’invito a comparire può essere anche antecedente al 1° luglio 2020, essendo del tutto legittimo un avviso di accertamento emesso dal 1° luglio 2020, purché preceduto da un invito e/o da un contraddittorio con l’ufficio regolarmente svolti, anche se in una data antecedente.