COVID-19: il futuro del Mezzogiorno

COVID-19: il futuro del Mezzogiorno

Stiamo combattendo una guerra assai difficile, contro un nemico subdolo, subendo inevitabilmente perdite dolorose e danni enormi. Quando ripartiremo dovremo saper trarre insegnamenti dalle inadeguatezze che hanno favorito il lungo prevalere del “nemico”, per avere un futuro meno aleatorio.

Di tale inderogabile esigenza dovremo farci carico tutti, per non essere impreparati quando finalmente tornerà il sereno.

Dovranno farsene carico – a mio avviso – soprattutto politici, imprenditori, Organizzazioni di tutti i settori, soprattutto del Mezzogiorno, ove sussistono prospettive di rinnovamento e di sviluppo non inferiori a quelle di altre aree, ma manca una diffusa preparazione per realizzarle.

Basti pensare alla specificità e al pregio di tanti prodotti agricoli, alle eccezionali attrattive delle località marittime, ai borghi ricchi di storia, alle città celebri per la loro unicità e bellezza, ai tanti paesaggi appenninici ricchi di straordinaria vegetazione mediterranea.

In sostanza cosa è che non funziona nelle province del Sud ? La domanda si ricollega alle considerazioni – pienamente condivisibili – che, in epoca non sospetta, Robert Putnam, della Harvard University, pose a fondamento della sua ricerca sulla “Tradizione civica delle regioni italiane”.

Occorre un impegno corale. Occorre rinunciare alla difesa del “particulare”; bisogna favorire la crescita culturale, per diffondere la consapevolezza piena dei propri doveri, prima ancora dei diritti.

Bisogna mettere a fuoco le cause delle inadeguatezze e dei disorientamenti che connotano tale insoddisfacente situazione, giovandosi anche delle chiare, concrete valutazioni del Presidente della Federazione Italiana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali, Andrea Sonnino (cfr. AgriCulture  del 1° aprile 2020 “Tre considerazioni sull’epidemia di Covid-19”).

Il Sud ha sicuramente prospettive di sviluppo non inferiori a quelle di altre aree, ma non dispone di adeguata capacità di realizzarle, nonostante sussistano tutte le condizioni essenziali, da quelle umane a quelle ambientali ed economiche – agricoltura e turismo innanzitutto – con potenzialità enormi.

Ma, allora, come si spiega il paradosso?

Nel Mezzogiorno – nessuna provincia, ormai, ne è totalmente indenne – fitte reti clientelari trasformano le opportunità economico-sociali in affannosi baratti: voti in cambio di favori personali o di appalti, in ragione del numero degli elettori controllati.

Mortificato così l’impegno civico, il Mezzogiorno è dominato da Amministrazioni locali inadeguate e da una pletora di enti inutili, che hanno alimentato clientelismo sfrenato, familismo amorale, criminalità, crisi economica, sfascio sociale.

La diffusa carenza di impegno politico privo di condizionamenti e la sfiducia crescente, irreversibile, si sono tradotte nella assoluta impossibilità di realizzare aggregazioni civili o economiche, capaci di perseguire obiettivi che postulano l’impegno convinto e concreto di una comunità o di una categoria.

La cooperazione, di fatto, è poco presente; l’industria langue, anche per la inadeguatezza del suo raccordo con gli unici settori capaci di fornirle materia prima: agricoltura e turismo.

Bisogna prendere atto della consolidata multilateralità della moderna agricoltura e che il settore primario sconta le conseguenze di riforme dettate da ragioni politiche e di una eccezionale frammentazione della maglia aziendale; nonché di un assistenzialismo – fatto di “piani verdi”, elusioni contributive e prestazioni previdenziali generose, non sempre disinteressate – che l’Unione Europea ha combattuto e che favoriscono immobilismo fondiario e imprenditoriale.

Oggi – come sempre nel Mezzogiorno – di fronte a problemi di acuta valenza, permane forte la tendenza a ricercare soluzioni di pronto effetto – soprattutto politico – le quali, però, si rivelano quasi sempre null’altro che effimeri palliativi, in quanto orientate a curare le conseguenze di situazioni distorte, ma consolidate; peraltro accettate nel comune sentire e fatalisticamente ritenute pressoché immodificabili.

Ma una cura durevole delle distorsioni economiche, sociali e soprattutto culturali può avvenire soltanto affrontando i problemi alle radici e non limitandosi a incidere sulle manifestazioni di malessere generalizzato di un territorio.

Una forte crescita economico-sociale poggia su una partecipata, autentica democrazia; e quindi su di una comunità di cittadini uniti da un alto tasso di educazione civica.

Pasquale Villari, già sul finire dell’800 osservò che nel Mezzogiorno si usa troppo dire “io” e troppo poco “noi”.

Chiediamoci come tutto questo è potuto accadere. Impegniamoci per avviare nelle aree interessate un processo virtuoso, capace di dare slancio ad attività produttive sane, per un recupero dei livelli occupazionali, un progressivo affievolimento della piaga della criminalità, l’arresto della emorragia di cultura e di spirito imprenditoriale.

Il Mezzogiorno si allontanerà sempre più dal resto del Paese e dall’Europa se si continuerà a delegare tutto – politica, economia, sviluppo – a politici non tutti pienamente affidabili, per competenza, fattività e disinteresse.

Albero ulivo

Redazione Fidaf

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