Il turpiloquio, l’educazione civica ed il razzismo, agli inizi del terzo millennio
La bufera che si è abbattuta sul massimo organo della Magistratura del nostro Paese, ha occupato le pagine dei giornali e dei notiziari televisivi, lasciando un senso di incredulità e di sgomento in larga parte dell’opinione pubblica.
E’ così passato in secondo piano un episodio, segnalato da Maurizio Gentilini nella lettera al Direttore di Avvenire del 14 giugno 2019, riguardante l’epiteto di “cinese di m…,” indirizzato ad un giovane, che era stato incaricato di smontare l’impianto stereo al termine di una manifestazione, svoltasi negli spazi comunitari parrocchiali, da chi voleva il proseguimento dell’evento musicale: turpiloquio o razzismo?
La risposta merita qualche approfondimento, poiché riguarda il comportamento individuale, indipendentemente dall’età, dall’appartenenza alle varie classi sociali, dal tipo di lavoro, dalle circostanze, dalle tradizioni locali dal Settentrione, al Meridione, alle Isole.
Il turpiloquio, come è noto, ha accompagnato da secoli il successo di autori famosi ed è stato sapientemente impiegato in generi letterari e teatrali, ma era più frequente nella società maschile, fino al secolo scorso, soprattutto nelle sue versioni più volgari, quali le bestemmie, le imprecazioni, le parolacce.
La bestemmia contro Dio ha assunto sempre più il valore di un’imprecazione ed esplode, a volte senza controllo, quando un’azione sbagliata provoca dolore, come ad esempio una martellata su un dito, ma non è accettabile, quando viene impiegata con troppa frequenza per rafforzare ripetitivamente il concetto contenuto in una frase, come avviene ormai tra i maschietti, o per richiamare l’attenzione tra le ragazze.
In alcune zone della Toscana, l’uso della bestemmia dà luogo ad una lunga serie di imprecazioni, tra il Cielo e la Terra, senza soluzione di continuità, che coinvolgono un impressionante numero di protagonisti, a volte inimmaginabili.
Tuttavia, la bestemmia da chiunque pronunciata, specialmente sui mezzi di trasporto pubblici, come gli autobus, la metropolitana, le tramvie, i treni, ecc. provoca, comunque, un evidente segno di disagio ed a lungo andare di disapprovazione, nella maggior parte della gente, anche se raramente manifestata pubblicamente.
Le parolacce, come hanno reso evidenti Roberto Tartaglione e Giulia Grassi nel volume Lingue italiane (CL. ELLE. Edizioni, Firenze 1985), trovano diversi usi: da quello aristocratico a quello intellettuale, dall’insulto contro una persona, ad uno sfogo senza offesa per nessuno. Anzi, autorevoli ricerche psicologiche indicano che il ricorso alle parolacce fa bene alla salute, per scaricare la tensione ed aumentare l’adrenalina, purché si eviti la volgarità.
Nel nostro Paese, il turpiloquio è ormai molto diffuso e dal 25 giugno 1999, la legge n. 205 lo ha reso lecito (eccettuata la bestemmia), ed è un fenomeno che dovrebbe venire contenuto in maniera costante, mediante l’educazione civica permanente, che è impresa particolarmente difficile e con scarse possibilità di successo.
A differenza di altri popoli europei, gli italiani hanno dimostrato, da sempre, una particolare idiosincrasia alle regole del vivere civile, a causa del loro carattere o temperamento. L’esempio più evidente è fornito dal divieto di attraversare i binari nelle Stazioni ferroviarie, ed è facile osservare le frequenti trasgressioni, per necessità o quel che è peggio, per gioco tra i giovani. E’evidente che in questo caso, il divieto ha come obbiettivo la difesa della vita e, talvolta, le cronache riportano le tristi conclusioni di una bravata priva di senso, ma l’educazione civica non è sufficiente a fare rispettare il valore di questo bene irripetibile, che ci è stato donato.
Il problema è molto complesso, poiché da troppo tempo l’educazione civica viene trascurata e non dispone delle risorse sufficienti per incidere positivamente nella formazione individuale, come deve avvenire in un mondo in rapida evoluzione.
I mass media, radio e televisione, rappresentano ormai un’industria supportata da notevoli interessi finanziari a livello globale, in cui gli eventi musicali e canori diffondono, con frequenza messaggi trasgressivi, che attirano milioni di ascoltatori, in cerca di una soluzione esistenziale, in grado di soddisfare i loro desideri.
Si è così formato un sistema che vede da una parte la crescente volgarità nelle comunicazioni in tempo reale tra le persone, rese possibili dai cellulari e dalla rete informatica, dall’altra la progressiva formazione di tendenze xenofobe razziali, che si manifestano in occasioni di eventi sportivi di grande richiamo.
La frase “Cinese di m….” può ancora venire tollerata come turpiloquio, ma l’esposizione di striscioni o di immagini contro gli ebrei va decisamente contrastata, perché sintomo che il virus del razzismo non è ancora stato estirpato.
E’ quello che le Società sportive cercano di attuare con grande severità, ma non è sufficiente, alla luce dell’affermazione in molti Paesi europei di partiti che fanno riferimento al nazismo od al fascismo
Purtroppo, il grande errore commesso dalle democrazie, inebriate dal successo economico degli anni 50’, è stato quello di aver trascurato il costante pericolo della presenza del razzismo, motivo di affermazione del nazismo con le sue tragiche conseguenze.
Il correre ai ripari facendo conoscere agli studenti delle scuole, opportunamente condotti a visitare i campi di sterminio di Auschwitz, Buchenwald, Dackau, Mauthausen, l’orrore dell’eliminazione di milioni di innocenti, colpevoli di appartenere ad una razza inferiore, quella ebraica, può dare risultati positivi, soltanto se preceduto, da una chiara interpretazione storica degli eventi che hanno caratterizzato quel periodo, ormai dimenticato.
E’ quindi necessario fare direttamente riferimento alla fonte, contenuta negli scritti di Adolf Hitler nella biografia della sua vita, “Mein Kampf”, negli anni della formazione ideologica del Terzo Reich, tra il 1933 ed il 1934, in cui affermava: “in un lontano futuro soltanto una razza superiore, divenuta padrona degli altri popoli e avente a disposizione i mezzi e le possibilità dell’intero pianeta, potrà affrontare e risolvere i problemi posti dalla volontà della natura”. E proseguiva “Lo Stato deve mettere la razza al centro per preservarne la purezza ed è scandaloso mettere al mondo bambini, quando si è malati o difettosi ed il supremo onore è quello di rinunciare a procreare”
Tanto per levare ogni dubbio: “Lo Stato deve dichiarare incapace di generare chi è affetto da visibile malattia o portatore di tare ereditarie e quindi capace di tramandare ad altri queste tare e provocare praticamente queste incapacità”, che guarda caso, sono presenti in sommo grado nella razza ebraica, secondo il “Mein Kampf”, ostacolo costante all’affermazione dell’modello ariano, patrimonio unico del popolo tedesco, opportunamente depurato.
Per gli attuali nostalgici del nazismo dovrebbe risultare molto utile verificare se in famiglia od i loro nonni soffrissero, per caso, di diabete, perché si troverebbero automaticamente assimilati, secondo le leggi hitleriane tra la categoria degli oppositori all’affermazione dei nuovi ideali e quindi passibili, se necessario, di eliminazione, prospettiva poco rassicurante, come in molti casi è avvenuto.
La lettura a distanza di circa un secolo di Mein Kampf , è scomoda sotto molti aspetti, ma utile, perché riguarda i singoli individui, la società, la classe politica e finanziaria, in un momento difficile per il futuro dell’Unione Europea, che è chiamata a trovare nuovi equilibri, che escludano ogni possibilità di rinascita del nazismo.
Attualmente, l’unico capo di Stato che ha preso una chiara posizione per il rispetto della vita e per la lotta all’economia dello scarto è Papa Francesco, ma la società del relativismo è ancora troppo assente ed il rischio rimane elevato.
Ervedo Giordano
Roma, 20 giugno 2019