Allevamenti e inquinamento da PM 2.5

Contrordine! Il nemico peggiore non sono le micropolveri del PM10 prodotto dalle automobili che entrano nelle prime vie respiratorie provocando danni, ma le sottili e insidiose nanopolveri PM2.5 che arrivano fino ai polmoni e sono prodotte dal riscaldamento degli edifici e dagli allevamenti di bestiame, rispettivamente con il 38% e il 15,1%, mentre i veicoli sono al quarto posto con il 9%, precedute dall’industria con l’11,1%. Le polveri più pericolose con hanno un diametro inferiore a 10 nanometri(un centesimo di millimetro), il cosiddetto PM10, il cui 60% è composto da particelle con dimensioni inferiori a 2,5 nanometri (PM2.5). Non è questa una novità, ma ora i media ora si indirizzano contro gli allevamenti animali con i più diversi commenti come quello di ridurre, se non abolire, il consumo di carne. Abbandonando ogni tipo di comunicazione mediatica sulle micropolveri PM2.5 e gli allevamenti, bisogna rilevare che il problema non è nuovo e dall’inizio di questo secolo vi sono numerosi e approfonditi studi compiuti da ricercatori soprattutto dell’Europa settentrionale, dell’America del nord e dell’Asia, in particolare cinesi, che dimostrano la grande complessità del fenomeno che non permette di dare classifiche e tanto meno numeri standard e precisi.

Le micropolverio PM, dall’inglese particulate matter, è l’insieme delle sostanze sospese nell’aria di diversa dimensione. Sono fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi che finiscono in atmosfera per cause naturali o per le attività dell’uomo. Le micropolveri si distinguono in primarie, direttamente emesse dalle sorgenti inquinanti, ad esempio dai tubi di scappamento delle auto, e secondarie che si formano nell’atmosfera a causa dei processi chimico-fisici che coinvolgono nuclei anche molecolari della più svariata origine, ma soprattutto NOx (ossido di azoto), SO2 (biossido di zolfo) e NH3 (ammoniaca).
Gli allevamenti animali, sulla base di molte ricerche, possono produrre piccole quantità di micropolveri primarie e quantità variabili di micropolveri secondarie che originano dalle molecole di ammoniaca che create dalle deiezioni animali. Se i PM primari hanno effetti soprattutto sugli animali degli allevamenti, i secondari comportano invece conseguenze soprattutto sulle popolazioni umane che vivono a diversa distanza dagli allevamenti. A questo ultimo proposito sono stati denunciati livelli di produzione da parte degli allevamenti di 1,7% di PM2.5 primario e il 15,1% di PM2.5 secondario sul totale del PM2.5 presente, ma in quali condizioni? Quali valori hanno questi numeri, considerando le grandi differenze che esistono tra le specie animali (bovini, suini, avicoli ecc.), sistemi di allevamento, alimentazione e soprattutto gestione delle deiezioni, condizioni climatiche che nell’aria trasformano l’ammoniaca in PM 2.5? Per questo i dati riferiti hanno poco significato, considerando anche che sono anche dati percentuali in riferimento ad altre sorgenti di PM2.5. Non bisogna anche dimenticare che fin dal 2008 ricercatori cinesi (Shiang-YuhWu, Jian-LinHu, Yang Zhang, Viney P. Aneja – Modeling atmospheric transport and fate of ammoniain North Carolina—Part II: Effect of ammonia emissions on fine particulate matter formation – Atmospheric Environment 42, 3437 – 3451, 2008) segnalano le difficoltà,le notevoli incertezze e soprattutto le grandi variazioni che riguardano la distribuzione temporale e spaziale delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti animali nelloro impatto sulla formazione di PM2.5.
Per quanto riguarda la situazione italiana e la pianura padana in particolare dove il problema delle PM2.5 sembra essere più marcato, importante è l’eventuale ruolo dell’allevamento bovino,da carne ma soprattutto da latte, per il quale si hanno da tempo conoscenze, come quelle offerte da Hristov e coll. (Hristov A. N., M. Hanigan, A. Cole, R. Todd, T. A, McAllister, P. Ndegwa, A. Rotz – Review: Ammonia emissions from dairy farms and beef feedlots – J. Anim. Sci., 91, 1 – 35,2011). In questo studio si ricorda che una parte significativa dell’azoto del letame bovino e dell’urea urinaria è convertita in ammonio e alla fine viene dispersa nell’atmosfera sotto forma di ammoniaca con una perdita del valore del fertilizzante del letame. La determinazione delle emissioni di ammoniaca derivata dalle operazioni di allevamento del bestiame è complicata dalla natura multiforme dei fattori che regolano la volatilizzazione dell’ammoniaca come la gestione del letame, la temperatura ambientale, la velocità del vento, la composizione del letame e il pH. Gli approcci per quantificare le emissioni di ammoniaca includono metodi micrometeorologici, contabilità e allegati del bilancio di massa e ogni metodo ha i suoi vantaggi e svantaggi e deve avere un’applicazione appropriata. A dimostrazione della grande variabilità di risultati, per le aziende lattiero-casearie Hristov e collaboratori segnalano emissioni giornaliere di ammoniaca per mucca che variano da 0,82 a 250 grammi, con una media di 59 grammi per vacca al giorno. Negli allevamenti di vitelloni da carne si è riscontrata una media giornaliera di 119 grammi per animale, con punte che raggiungono i 280 grammi. In modo analogo grandi variazioni nella produzione di ammoniaca vi sono negli allevamenti di suini e di polli.
Per limitare le emissioni di ammoniaca dalle deiezioni si può operare a tre livelli. Il primo consiste nel ridurre le proteine nella razione alimentare degli animali e nei bovini intervenendo anche sulla degradabilità delle proteine ruminali, non dimenticando che una riduzione delle proteine fa calare il costo della alimentazione degli animali, ma può anche causare perditenella produzione di latte, carne o uova. Il secondo livello fa ricorso a tecniche di trattamento del letame come l’inibizione dell’ureasi, l’abbassamento del pH, la nitrificazione-denitrificazione che riducono le emissioni di ammoniaca. La terza opzione per ridurre le emissioni di ammoniaca è il trattamento delle deiezioni con la cattura dell’ammoniaca tramitebiofiltri, l’uso di coperture impermeabili,una corretta incorporazione di letame nel terreno come ammendante di colture o pascoli e non da ultimo una appropriata produzione di biogas.

Ridurre le emissioni di ammoniaca negli allevamenti e soprattutto in quelli di bovini da latte e da carne è fondamentale per ottenere una produzione sostenibile dal punto di vista ambientale a beneficio dei produttori e della società in generale. L’uso delle deiezioni animali come ammendanti dei terreni e per la produzione di biogas sono già in atto e merita di essere sviluppato e migliorato, più che ridurre gli allevamenti in particolare nelle aree dove le produzioni zootecniche sono destinate alla creazione di alimenti pregiati (formaggi e salumi DOP) e in un’Italia fortemente deficitaria di latte bovino e di carni suine.
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Redazione Fidaf

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