La guerra del cibo e le nuove religioni del bio
Proviamo a scherzarci sopra, anche se non si può. Quando c’è di mezzo il biologico, ridere è vietato. Come ogni culto, finiscono per rispettarlo pure gli atei. Un caso tipo, per capirci meglio. La ragazza del negozio biologico sotto casa ti guarda serissima: «Solo questo?». Hai in mano mezzo sedano rapa. Sorridi a fatica: «Sì». Lei niente. Ha capito che non sei un credente. Ridere è vietato, figuriamoci in momenti come questo. Butti gli occhi sul volantino vicino alla cassa. Lei ti marca stretto. «Le interessa la nostra cassetta settimanale di frutta e verdura?». Non sai cosa fare. Cosa dire. Forza, reagisci. Dimostra che sì, ti interessa. «Mmm… No, grazie. Vado al mercato». Pazzo. Perché l’hai fatto. Mercato uguale coltivazione intensiva, serre a quaranta gradi, grande distribuzione spacciata per chilometro zero, fragole a gennaio, italiani che non vogliono più raccogliere i pomodori (vogliono raccogliere solo quelli cresciuti al sole dei poderi umbri, se mai). Sei spacciato. La ragazza batte lo scontrino. Ti guarda fisso. «Ottantacinque centesimi». Ti senti un pezzente. Da quanto tempo in questo negozio non si spendeva così poco? Lei ancora non sorride, tu però sei salvo. Pensi: «Qui non ci verrò mai più».
E invece ci tornerai ancora, e ancora, e ancora. Perché, anche se non ci credi, il biologico è tutto intorno a te, come recitava un vecchio spot. Non hai scampo, e un po’ ti piace. A Milano, una volta, venivano su banche ad ogni angolo di strada, oggi aprono botteghe con cassette di patate viola e vasi di curcuma fresca (sì: esiste la curcuma fresca)…