La Shoah ed i figli della lupa
Ervedo Giordano
Il 27 gennaio è stata celebrata in tutta l’Italia, “La giornata della memoria”, per non dimenticare lo stesso giorno del 1945, quando la 60° Armata del Primo Fronte Ucraino, alle ore 15, riuscì ad abbattere i cancelli dell’immenso campo di concentramento di Auschwitz, ed a liberare oltre 7000 prigionieri.
Superata Cracovia, l’Armata Rossa puntò rapidamente sui Campi di sterminio di Birkenau e sul Campo di lavoro di Monowitz, mettendo la parola fine alla più efferata follia che aveva travolto l’Europa, da quando Adolfo Hitler, aveva descritto nel suo libro Mein Kampf, la missione morale che era stata assegnata alla Germania: conquistare il mondo e quindi eliminare tutti coloro che opponendosi al dominio della razza ariana, minacciavano la sua stabilità sociale ed economica, iniziando dagli ebrei.
Questa “catastrofe” trascinava nel baratro delle barbarie anche il nostro Paese, perché nel delirio fascista, “il XX secolo doveva vedere Roma, centro della civiltà latina, dominatrice del Mediterraneo, faro di luce di tutte le genti.”
Il giorno della memoria non è solo il monito per le nuove generazioni, per comprendere il valore della libertà ed il rischio rappresentato dalle dittature, che non rispettano il valore della vita, ma è anche l’occasione per porre ciascuno di fronte, al rispetto della verità, ed ai compromessi imposti dall’opportunismo quotidiano.
Nel 1938, le leggi razziali e discriminatorie nei confronti degli ebrei residenti in Italia, colpirono circa 40.000 persone, che svolgevano le loro attività, commerciali, professionali, educative, di studio, da molte generazioni, e che avevano servito con onore la nostra Bandiera, nella prima Guerra mondiale, in Africa, in Spagna, ottenendo dallo Stato, numerosi riconoscimenti, a testimonianza degli atti di valore compiuti.
Nonostante questa dimostrazione di lealtà nei confronti del Paese, di cui si sentivano parte integrante, gli ebrei furono costretti ad abbandonare immediatamente gli impieghi pubblici e, in particolare, l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.
I primi ad accorgersi che aveva avuto inizio un periodo di sofferenze, furono i bambini di 8 anni di età, che frequentavano la terza classe elementare.
Nell’ordinamento scolastico dell’epoca, dai 6 ai 9 anni, gli alunni erano suddivisi in gruppi scolastici o “Figli della lupa”, che avevano una propria divisa e gli insegnanti erano responsabili dei programmi ministeriali, comprendenti anche mezz’ora di istruzione formale, ogni settimana, sotto la loro guida.
L’applicazione repentina delle leggi razziali, provocò grande costernazione e sofferenza in molti piccoli, che non trovarono più in cattedra, da un giorno all’altro, la loro amata maestra, fonte indiscussa del sapere e, a volte di consolazione, per l’incomprensione delle mamme.
Il nuovo insegnante sostituto di quello precedente, nell’immaginario collettivo, rimase a lungo un estraneo cattivo, che aveva compiuto un “furto” immeritato.
Naturalmente, questo aspetto non poteva venire preso in considerazione nelle leggi razziali, che secondo il Governo erano volte a proteggere la “razza italiana”, dalla catastrofica piaga del “meticciato”, a seguito della conquista dell’Impero, con la presenza di una società né europea, né africana, che avrebbe prodotto la disintegrazione e la rivolta”.
I provvedimenti contro gli ebrei erano giustificati dal fatto che le leggi non erano state immaginate come persecutorie, a differenza di quelle germaniche, ma soltanto discriminatorie, ma la realtà era ben diversa dalla propaganda e la riprova è data dalla contestuale istituzione della Direzione Generale per la demografia e la razza, nell’ambito del Ministero degli Interni, a cui apparteneva anche la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza.
La schedatura di tutti gli ebrei italiani costituì il regalo più efficace per la Polizia germanica, che ne fece l’efferato uso nel 1943, quando il Generale Kappler impose la consegna, entro 48 ore alla comunità ebraica di Roma di 50 chili d’oro, ma che non servì ad evitare la deportazione di massa del 16 ottobre, verso i campi di sterminio di 1024 ebrei romani, tra cui molti bambini, che non fecero più ritorno.
Una delle pagine più vergognose per la tradizione militare germanica, che rimane come macchia indelebile, nonostante la rivolta dei suoi migliori ufficiali, pagata nel sangue.
Ricordare e far conoscere ai giovani la terribile vita nei campi di internamento e la presenza dei forni crematori, usati subdolamente come purificatori dello spirito, è senza dubbio un’ iniziativa meritoria: forse sarebbe anche opportuno richiamare l’attenzione dei giovani sul fatto che, come afferma Mons. Gianfranco Ravasi in un commento al Vangelo di Matteo, il vero Israele comincia nel Vecchio Testamento e le generazioni successive si riferivano al Messia nella speranza, ma anche i cristiani sono il vero Israele, che continua quella linea, riferendosi a Cristo, nella fede e nella certezza.