Globalizzazione, benefici e limiti. Alcune considerazioni.
Da più parti si sostiene che il fenomeno noto come globalizzazione sia un fenomeno vasto, profondo, apportatore di benefici strutturali in campo economico e sociale per l’Umanità.
Che sia un fenomeno enorme ed in rapida espansione/evoluzione non v’è dubbio; non si può, però, sottovalutare o sottacere che esso sia mosso da pesanti interessi economici, spesso schermati dagli elogi dei benefici che da esso derivano o deriverebbero. Tale schermo a volte impedisce di avere consapevolezza delle ricadute culturali e materiali non sempre positive; anzi. Per esempio il piccolo non è più bello; il riferimento classico tra i tanti è al settore artigianale, marginalizzato prima e poi annullato. Così facendo si accetta, sempre più inconsapevolmente, purtroppo, la perdita anche definitiva della bontà di tante cose(1) selezionate e maturate nel corso di secoli di esperienza e di ricerca sul campo; si accetta la perdita della capacità di realizzare quelle cose rispettando e utilizzando nel modo appropriato l’ambiente (nell’accezione più larga) che ci ospita; di pensare e di riflettere su quello che si sta realizzando; di dare la giusta funzione e importanza al tempo, elemento necessario e indispensabile.
Inoltre, al contrario di quanto la globalizzazione potrebbe far supporre in tema di aperture e accettazione si manifestano fenomeni più spinti di chiusura e di arroccamento nelle proprie realtà.
Come un albero si radica nel proprio terreno, è naturale e anche ragionevole radicarsi nella propria cultura e proteggerla. Ma ciò non deve ostacolare il confronto con l’altro, sia che venga da luoghi vicini, sia che arrivi da terre lontane. In questo contesto penso sia non solo importante, ma fondamentale, rafforzare la conoscenza della propria Storia e della propria Identità. Esse, Storia e Identità, com’è noto, poggiano sulla lingua parlata e scritta dei padri.
La lingua cresce e si evolve nel tempo con il confronto e l’innesto di nuovi arrivi e di nuove culture. Penso, ovviamente, non solo alle lingue e culture più diffuse, ma anche a quelle più limitate spazialmente che, però, a volte, vantano storie lunghe di secoli. Penso ai tanti dialetti (o lingue dialettali) di cui l’Italia è ricca, anche e soprattutto quelli di piccole comunità, arrivati fino a noi e che, ora, corrono il rischio di scomparire per sempre, annegati dall’ondata di “globalizzazione” che vuol travolgere tutto verso un appiattimento generalizzato e ribassista. Sembra che ogni anno scompaiono 25 lingue dialettali, come ci ricorda Dario Fo in uno degli ultimi suoi libri-intervista: ”ogni volta che sparisce un linguaggio il mondo diventa più povero”(2). Tutti diventiamo più poveri.
Per dimostrare l’insensatezza di ciò ho apprezzato e apprezzo tutti quegli sforzi che da più parti si fanno, spesso in maniera indipendente e senza fini lucrativi.
Da qualche anno ho il piacere di leggere e consultare con stupore e ammirazione un impegnativo e voluminoso vocabolario (con rimario e grammatica) della lingua di un piccolo paese del subappennino dauno: Castelluccio Valmaggiore, in provincia di Foggia, redatto con anni di studi e approfondimenti dal prof. Pasquale Cacchio, il quale, con il suo lavoro, ha cercato di salvare dall’onda di cui sopra un piccolo mondo ricco di tante storie da un millennio a questa parte. Inoltre, per niente trascurabile è il messaggio lanciato nel capitolo 6 – etimologie notevoli – dove si mette in risalto come anche una “piccola” lingua sia il frutto di un insieme di incroci e innesti secolari; incroci e innesti che spaziano dall’indoeuropeo a lingue prelatine, dal greco e dal latino all’arabo, dallo spagnolo all’inglese e a lingue germaniche e francesi e da altre che lui – lo stimato professore – definisce oscure.
Interessante. Molto interessante. Perché ciò ci dice che, pure in piccole comunità, nel corso dei secoli ci sono stati incontri fra tante culture; incontri non violenti e senza fobìe. Incontri costruttivi e salutari.
Il paesino da me citato si accinge a celebrare il millennio della sua Torre normanno-bizantina costruita nel 1019.
- Una cosa per tutte. L’arte di panificare. Illuminante e istruttivo il seguente estratto (pagg. 65 e seg.) da Ritorno al Sud di M. Veneziani, Oscar Mondadori, 2014: “L’economia immateriale della finanza non si sposa con la concretezza del pane. O, per meglio dire, c’è un pane d’élite, ….. e c’è un pane di massa, anche nel senso di massa insapore. La rosetta, per esempio, è quel disco mutante che la mattina è pane, il pomeriggio è gomma e la sera è pietra.”.
- Dario Fo, in Dario e Dio (pag. 97 e segg.), U. Guanda ed., 2016: “Nell’arco di un paio di secoli se ne parleranno solo tre: inglese, cinese, spagnolo. Tutto il resto… Via. Una riduzione che forse faciliterà i commerci, ma dissanguerà le fonti della conoscenza. E alla fine, il monolinguaggio porterà con sé il pensiero unico.”.