Quando si dice: la cattiva informazione… pure strumentale?
Ecco come Federbio utilizza le informazioni scientifiche per uno scopo di comodo (pro domo sua direbbero i Romani), speriamo in buonafede. Nel proprio comunicato stampa del 5 giugno u.s., Giornata Mondiale dell’Ambiente, sostiene infatti:
… l’agricoltura è la prima causa di inquinamento dell’aria: “I fertilizzanti azotati di cui si serve l’agricoltura industriale, insieme all’allevamento degli animali, danno un contributo determinante e devastante all’aumento del particolato fine che provoca malattie e morti premature.”
Ciò sulla base di una ricerca scientifica: “Significant atmospheric aerosol pollution caused by world food cultivation” di Susanne E. Bauer, Kostas Tsigaridis, and Ron Miller pubblicato su Geophys. Res. Lett., 43, doi:10.1002/2016GL068354 del 2016.
Di qui il loro suggerimento che – alla luce di quanto sopra – dovrebbe essere un imperativo: “Il bio rappresenta la vera alternativa, ponendosi come metodo di produzione che tutela la fertilità del suolo, la biodiversità e il benessere dell’uomo. L’agricoltura industriale, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, non può rappresentare il futuro, al contrario è una vera e propria minaccia”.
Così posto, il tema è sicuramente drammatico, ma è proprio vero? Mi sia concesso un qualche dubbio se, in realtà, dal predetto lavoro scientifico si evince, fra l’altro, che:
- i valori di PM 2,5 in atmosfera sono pericolosi se superano i 10-12 µg/m3, mentre in Europa, Americhe e parte della Cina sono al di sotto di tali valori. Per contro, valori compresi fra 20 e 40 µg/m3 si riscontrano in Africa, Medio-Oriente, e buona parte dell’Asia Meridionale. Se ne può dedurre che l’agricoltura intensiva non deve essere la causa principale di tale situazione;
- la produzione di quelle particelle (PM 2,5) – che diventano micidiali solo quando superano decisamente i limiti suddetti – deriva solo in parte dalla combinazione fra l’ammoniaca liberata dai fertilizzanti e dagli allevamenti zootecnici (che in certa misura esistono anche nel sistema Bio…!) e gli ossidi di azoto (NOx), liberati soprattutto dai processi di combustione;
- ovviamente grave sarebbe la preoccupazione se fosse prevedibile – in Europa e Americhe – un tale sforamento, almeno per il futuro ma, sfortunatamente per Federbio, gli autori “benemeriti” affermano, testualmente: “For a future scenario, we find opposite trends, decreasing nitrate aerosol formation near the surface while total tropospheric loads increase. This suggests that food production could be increased to match the growing global population without sacrificing air quality if combustion emission is decreased”.
Come dire che la situazione è accettabile oggi e che per il futuro potrebbe andar meglio, pur aumentando la produzione di cibo, come impone la crescita della popolazione (parola dei suddetti autori citati da Federbio), grazie alla agricoltura intensiva e sostenibile.
Ma non finisce qui, sullo stesso tema nei giorni scorsi è apparsa un’intervista di Anna Meldolesi (“La Lettura”, supplemento del Corriere della Sera di domenica 29 maggio 2016) a Sanjaya Rajaram, agronomo indiano vincitore del World Food Prize 2014 che ha raccolto il testimone di Norman Borlaug (padre della Rivoluzione Verde). A precisa domanda: “Può bastare l’agricoltura biologica? E’ opposta a quella scientifica o la completa?” Altrettanto precisa è stata la risposta: “L’agricoltura biologica può produrre cibo per 3 miliardi di persone, ma già oggi siamo in 7,3 miliardi. Le rese attuali con le pratiche agricole moderne sono di circa 2,5 tonnellate per ettaro nel mondo. Con il biologico si ottengono in media solo 1,6 tonnellate di cereale per ettaro”.
Sulla base di queste valutazioni, parrebbe che per Federbio sia preferibile far morire di fame metà della popolazione mondiale, piuttosto che correre un qualche rischio (in verità presunto tale) per il PM 2,5 da fertilizzanti azotati.