Mapping the vulnerability of mountain peoples to food insecurity

L’ultimo studio condotto dalla FAO e dal Segretariato della Mountain Partnership – dal titolo “Mapping the vulnerability of mountain peoples to food insecurity” – richiama l’attenzione su un dato allarmante: nel 2012, il 39 percento della popolazione montana nei paesi in via di sviluppo era a rischio di insicurezza alimentare, con un aumento del 30 percento rispetto al 2000.  

Nell’ultimo decennio le condizioni di vita delle popolazioni di montagna sono andate deteriorandosi e il rischio di fronteggiare la fame è aumentato. Climi rigidi e terreni spesso difficili da raggiungere e coltivare, in un contesto che è spesso caratterizzato da marginalizzazione politica, economica e sociale, contribuiscono da sempre a rendere i popoli di montagna particolarmente esposti alla carenza di cibo. Però i cambiamenti climatici – che in montagna possono comportare aumento dei disastri naturali ed eventi estremi, incremento della degradazione del suolo, alterazione del ciclo idrologico, attacchi di nuovi parassiti – senza dubbio hanno giocato un ruolo non secondario nell’acuire le condizioni di crisi delle popolazioni di montagna.

Nelle zone di montagna l’economia si basa sulla diversificazione, elemento cruciale per aumentare la capacità di reagire ai frequenti eventi critici; l’agricoltura familiare e di piccola scala, le attività forestali e la pastorizia sono i sistemi agricoli prevalenti e spesso alcuni componenti del nucleo familiare lavorano in centri abitati vicino o all’estero inviando rimesse alle famiglie. La creazione di un contesto sociale positivo in cui i popoli di montagna abbiano accesso a istruzione, informazione, credito e assistenza sanitaria, e beneficino di sistemi di governance e infrastrutture affidabili è fondamentale per combattere la fame e la povertà e contrastare i fenomeni di spopolamento.

Le montagne ricoprono il 22 percento della superficie terrestre e ospitano circa 915 milioni di persone, pari al 13 percento della popolazione mondiale. Esse forniscono tra il 60 e l’80 percento dell’acqua dolce della terra. Tuttavia, nonostante questa rilevanza globale, vi era una carenza di dati e di informazioni sullo stato delle montagne e delle popolazioni che vi risiedono. L’ultimo studio globale che stimava la vulnerabilità dei popoli di montagna all’insicurezza alimentare risaliva al 2003, ad opera della FAO. Studio che è stato un fondamentale riferimento per attirare l’attenzione e gli investimenti mondiali verso le popolazioni montane vulnerabili.

Analisi attuale della fame nelle aree montane

Oggi, a distanza di oltre dieci anni, la FAO e la Mountain Partnership hanno aggiornato e arricchito lo studio del 2003, fornendo nuove informazioni e dati sulle popolazioni montane.

Questo studio presenta un quadro geografico e demografico aggiornato delle aree e delle popolazioni montane su scala globale, sulla base di dati raccolti dalle fonti più recenti. Il fulcro dello studio è l’analisi della vulnerabilità all’insicurezza alimentare delle popolazioni montane, condotta sulla base di una nuova metodologia denominata “FAO 2015 Mountain vulnerability model” – che è stata appositamente sviluppata a seguito di consultazioni approfondite tra gli esperti della FAO ed esterni in materia di sviluppo, nutrizione, statistica, allevamento e tecniche GIS.

Lo studio definisce la vulnerabilità all’insicurezza alimentare come la probabilità che una persona o un nucleo familiare si trovino al di sotto di una soglia minima di sicurezza alimentare all’interno di un certo periodo di tempo.

Secondo i risultati della nuova analisi, il 39 percento degli abitanti di montagna (urbani e rurali) nei paesi in via di sviluppo erano vulnerabili all’insicurezza alimentare nel 2012. Si tratta di un aumento del 30 percento rispetto al 2000, mentre la popolazione montagna totale è aumentato solo del 16 percento. I numeri sono ancora più sconcertanti se si considerano soli gli abitanti delle zone rurali. Mentre la media globale di persone a rischio di insicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo è di uno su otto, nelle zone montane rurali degli stessi paesi sono quasi uno su due.

Il numero di persone che vivono in montagna è aumentato da 789 a 915 milioni tra il 2000 e il 2012. Di queste, il 90 percento vive in paesi in via di sviluppo. La crescita non è stata uguale in tutte le regioni, ad esempio Africa e America Latina hanno avuto incrementi rispettivamente del 38 e del 22 percento tra il 2000 e il 2012, mentre la popolazione montana dell’Asia nello stesso periodo è cresciuta solo dell’8 percento. La popolazione è aumentata a tutte le altitudini, tranne al di sopra dei 4500 metri, dove invece é nettamente calata.

L’analisi dei dati sulla popolazione ha rilevato che, nel 2012, in media il 30 percento della popolazione di montagna viveva in aree urbane, con un aumento del 26 percento rispetto al 2000. La metà degli abitanti di montagna dei paesi sviluppati, ma solo un quarto di quelli in via di sviluppo paesi, vive in aree urbane.

La metodologia “FAO 2015 Mountain vulnerability model”

Il modello è stato formulato sotto la guida di esperti della FAO, del Segretariato della Mountain Partnership e di alcuni membri della Mountain Partnership. Esso fornisce la stima globale più precisa possibile della vulnerabilità all’insicurezza alimentare nelle zone di montagna, sulla base delle migliori tecnologie e dati disponibili. Il modello è stato applicato solo ai paesi in via di sviluppo, partendo dal presupposto che nei paesi sviluppati non si rischi la fame e che fattori diversi dall’agricoltura abbiano più rilevanza.

Per le popolazioni rurali, il modello definisce la vulnerabilità sulla base di un requisisco quotidiano minimo di calorie e proteine, mentre per le popolazioni urbane utilizza l’indicatore di povertà urbana sviluppato dalla Banca Mondiale.

Il modello fornisce una stima della disponibilità calorica nelle regioni rurali di montagna considerando il tasso di produzione delle aree agricole come media delle rese di sei colture montane importanti (fagioli, manioca, mais, patate, riso e frumento) espressa in calorie. Il modello aggiunge poi informazioni sulla qualità della dieta stimando la disponibilità di proteine ​​animali derivate da carne di manzo, latte di mucca, carne di pecora, latte di pecora, carne di capra, latte di capra, carne di maiale, carne di pollo e uova. Se sono disponibili meno di 1370 calorie o meno di 14 g di proteine per persona al giorno, la popolazione della zona è ritenuta a rischio di insicurezza alimentare. Quindi, il modello identifica le aree rurali dove le produzioni di agricoltura e allevamento non sono sufficienti a garantire agli abitanti un quantitativo minimi di cibo per evitare fame e malnutrizione.

Sebben il modello FAO 2015 sia basato su un insieme più raffinato di indicatori rispetto a quelli utilizzati nello studio precedente, esso ha comunque delle limitazioni. Non cattura ad esempio le attività produttive diverse da agricoltura e allevamento, e ciò implica che il reddito da attività come silvicoltura, turismo e commercio, così come le rimesse e gli stipendi, non siano tenuti in considerazione.

Indagini presso le famiglie: un altro strumento per misurare la fame

In Ecuador e Malawi sono stati intrapresi dei test basati su dati estratti da sondaggi domestici per verificare i risultati ottenuti dal modello e per illustrare ciò che si potrebbe ottenere se dati con la localizzazione dei nuclei familiari fossero disponibili e analizzati per tutti i paesi.

Le aree di montagna di Ecuador e Malawi presentano condizioni socio-economiche diverse. L’Ecuador è un paese a reddito medio-alto, dove la gente di montagna vive per lo più nelle aree urbane. Il Malawi è invece un paese a basso reddito, dove la maggior parte delle persone di montagna vive nelle aree rurali. Per l’analisi dei dati è stato utilizzato un indicatore composito di vulnerabilità appositamente sviluppato che considera i dati sul consumo alimentare e sulle condizioni di vita, nonché fattori come la qualità dell’acqua, dei servizi igienici e delle reti stradali. I dati raccolti hanno permesso di stimare la vulnerabilità all’insicurezza alimentare e suddividerli per altitudine e gruppi demografici.

Analisi di questo tipo, che si basano su una gamma di informazioni vasta ed eterogenea, rendono possibile una valutazione olistica della vulnerabilità e la localizzazione precisa degli hotspot di vulnerabilità. Ciò facilita chiaramente la progettazione di interventi politici e investimenti mirati.

Risultati e conclusioni dello studio

Confrontando i dati 2000 con quelli 2012, lo studio ha rilevato un aumento del 30 percento nel numero di abitanti di montagna vulnerabili all’insicurezza alimentare. In numeri assoluti, le persone vulnerabili nelle aree montane dei paesi in via di sviluppo sono salite a quasi 329 milioni, a fronte dei 253 milioni del 2000. Lo studio ha anche approfondito le variazioni a livello regionale e sub-regionale. Le mappe regionali mostrano ad esempio ampie zone che tra il 2000 e il 2012 sono state abbandonate da persone vulnerabili: la situazioni era così drammatica che furono costrette ad abbandonare le loro terre. Questa migrazione non solo ha aumentato la pressione demografica su molte aree già povere dove hanno finito per stabilirsi, ma ha anche provocato perdite nelle zone che gli abitanti montani si sono lasciati alle spalle – perdite in termini di fornitura di servizi ecosistemici e di conservazione della diversità culturale e agrobiologica.

Nel complesso, i dati indicano che una persona su tre nelle montagne dei paesi in via di sviluppo è vulnerabile all’insicurezza alimentare, e che quando si considerano solo le aree rurali il numero sale a uno su due. A livello globale, il numero di persone che soffrono la fame nei paesi in via di sviluppo è di uno su otto.

Questi dati danno voce alla drammatica la situazione dei popoli di montagna e ne quantificano l’entità. E’ un messaggio chiaro per i governi affinché includano lo sviluppo sostenibile delle aree montane nei loro programmi, uno sviluppo necessario ad alleviare le dure condizioni di vita delle comunità montane e fermare lo spopolamento delle montagne. Ulteriori studi sono indispensabili per chiarire le cause profonde di questa vulnerabilità e per capirle anche livello locale e nazionale per dare strumenti ai governi locali e nazionali. Università ed enti di ricerca che fossero interessati ad analisi ulteriori possono contattarci. Tutti i dati e le mappe dello studio sono disponibili on line nel sito della Mountain Partnership.

The Forest of Bere, William Turner
The Forest of Bere, William Turner

Redazione Fidaf

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