Il cibo per tutti è un problema morale

In occasione dell’EXPO, dedicata al cibo, molti personaggi in cerca di visibilità e/o di affari si sono scatenati nel trattare l’argomento. Il tema di fondo, “nutrire il pianeta” è stato molto  esaminato dal punto di vista della qualità e della distribuzione del cibo, e molto poco dal punto di vista della produzione, salvo richiedere all’unanimità la “sostenibilità” dell’agricoltura ed il rispetto della “biodiversità”,  due mantra che oggi vanno per la maggiore, e sono largamente  abusati  sui giornali, nei discorsi politici, e purtroppo anche  nella presentazione di ricerche scientifiche.

Proviamo a disimpegnarci dalle affermazioni ideologiche, ed a riferirci alla cruda realtà. Il pianeta Terra non si nutre, esiste da molto prima della comparsa della vita,  ed è difficile prevedere esattamente come e quando si estinguerà.  Tutti gli organismi componenti la biosfera invece devono nutrirsi, ricavando energia  dalle radiazioni solari, o divorandosi a vicenda.   Il problema degli uomini, che non sono in grado di compiere la fotosintesi,  è quello di procurarsi in quantità sufficiente altri esseri viventi da ingoiare, pertanto devono  determinare il  numero massimo di individui della propria specie che è possibile sfamare, e con quali mezzi farlo. Questioni di non poco conto, non certo risolvibili con alcuni semplici slogan.

Proviamo a concentrarci  su quello più condiviso: non sprecare il cibo. Se vogliamo sorvolare sull’enorme quantità di cibo divorato dai parassiti nei campi ed in strutture inadeguate alla conservazione dei raccolti, possiamo partire dal problema apparentemente di più semplice soluzione: lo spreco di cibo pronto all’uso.

 Le statistiche dicono che la popolazione urbana intorno all’anno 2000  è diventata più numerosa di quella rurale. Quale relazione esiste tra questo fatto ed il nostro argomento? Le famiglie rurali, già da tempi precedenti  alla comparsa di  frigoriferi e congelatori, hanno sviluppato un metodo infallibile per conservare il cibo in eccedenza ed utilizzarne gli scarti: allevare animali domestici. Tutte dispongono di animali domestici, in particolare  polli, animali veramente onnivori e capaci di ingoiare qualsiasi residuo utilizzabile. Questi animali sono disponibili per essere macellati alla bisogna, ed i loro scarti vengono riutilizzati. Per lo meno, sono disponibili fuori dall’Europa, in quanto le leggi europee impongono strutture di macellazione  che hanno un costo economico non compatibile  con l’utilizzo famigliare. Quindi, da noi anche le famiglie rurali sono diventate, per questo aspetto, urbanizzate.

Il problema  dei paesi avanzati riguarda la fornitura in eccesso di cibo ai punti di distribuzione, che non viene venduto entro i tempi di scadenza, e gli acquisti compulsivi dei consumatori, che poi non riescono a mangiare quanto acquistato.   Si potrebbe pensare  di ridurre l’approvvigionamento dei  supermercati, immaginando che i consumatori si accontentino di trovare vuoti gli scaffali di questo  o quel prodotto, ripiegando su quello che rimane. L’adozione di questo comportamento, benché tutti dichiarino di condividere la necessità di evitare lo spreco del cibo, è altamente improbabile. Chi ha sperimentato gli ultimi anni dell’Unione Sovietica, sa che non appena veniva avvistata la fornitura di qualsiasi bene alimentare avvicinarsi ad un negozio, subito si creava la fila: i consumatori giravano sempre con una buona scorta di rubli, ed acquistavano molto più di quello che  serviva loro, contando di scambiarlo con qualche amico che era stato fortunato in una coda per altra merce, o di rivenderlo a qualcuno che non si era imbattuto in code proficue. Potremmo anche citare le esperienze delle generazioni passate che in tempo di guerra tentavano di  districarsi tra tessere alimentari e borsa nera, ma ci limitiamo ad immaginare che nelle nostre condizioni attuali un consumatore  scelga semplicemente il supermercato meglio fornito. Alcuni supermercati mettono in offerta a prezzi scontati i prodotti vicini alla scadenza; tutti destinano ai cassonetti i prodotti scaduti. Chi scrive vive nelle vicinanze di un discount, e non di rado  vede  persone, spesso anziane,   rovistare nei cassonetti, per recuperare  cibo ufficialmente censito come sprecato.

Bisogna  ridurre gli sprechi delle famiglie, e questo va fatto mediante l’educazione genitoriale e scolastica.  Nel vecchio Piemonte, fino all’ultimo dopoguerra, ai bambini che sprecavano un tozzo di pane, veniva minacciata la pena che li avrebbe aspettati nell’aldilà: vagare al buio con un cestino senza fondo, aiutati dalla fioca  luce di   una fiamma inestinguibile che ardeva sulla punta del dito mignolo, a raccogliere tutti i pezzettini di pane che avevano sprecato nel corso della vita. Oggi questa minaccia é caduta in disuso,  e  la pubblicità  continua a martellare le menti, per cui  è difficile sottrarsi all’acquisto di beni non necessari. Una migliore educazione scolastica sull’origine del cibo,  sui modi di riconoscerne la qualità, e sui fabbisogni  alimentari dell’organismo, potrebbe affrancare, almeno in parte, i consumatori dalle lusinghe pubblicitarie. Non è  affatto semplice invece destinare il cibo acquistato in eccesso ai residenti di un altro continente che ne avrebbero bisogno.

Ammesso e non concesso che si possa risolvere il problema degli sprechi sopra elencati cambiando le abitudini acquisite dalla popolazione dei paesi occidentali durante l’ultimo mezzo secolo di abbondanza, rimane da stabilire in che modo si possa adeguare la produzione alle effettive richieste di consumo. Abbandoniamo subito gli slogan su km. zero  e sovranità alimentare, in quanto noi italiani dipendiamo pesantemente dalle importazioni di grano, mais, soia, carne, latte, e molto altro: senza queste, subiremmo una carestia permanente. Il cibo, del quale esiste un mercato globalizzato, viene acquistato da chi ne ha le possibilità economiche. Gli agricoltori producono quanto il terreno ed il clima permettono, sempre a patto di poter coprire i costi di produzione e ricavarsi il necessario per  sopravvivere. I prezzi delle derrate alimentari di base per l’umanità sono oggetto di speculazioni finanziarie, che ne moltiplicano le oscillazioni  per trarne profitto. Queste oscillazioni si trasmettono ai prezzi dei fertilizzanti, che a causa della maggiore richiesta aumentano quando si prevede che il  valore dell’incremento di  produzione agricola   dovuto al loro maggiore impiego ne compensi la spesa, e viceversa. Anche le superfici coltivate oscillano in funzione dei prezzi più o meno remunerativi. Un ricordo di chi scrive: durante una missione in Nicaragua, nel lontano 1991, un agricoltore del luogo lamentava di possedere “solo” un centinaio di ettari di terreno, dei quali ne coltivava meno di uno, diviso tra riso e fagioli per uso domestico. I rimanenti 99,  pur se strutturati per la produzione di riso,  erano utilizzati come allevamento semibrado, recintato ma non accudito, quindi una boscaglia, dalla quale  prelevava  a fucilate qualche vitello per alimentarsi o per venderlo. I prezzi del riso in quel caso non coprivano i costi di produzione, per cui non poteva permettersi l’acquisto di attrezzature, sementi e fertilizzanti per coltivare.  La riduzione degli sprechi da parte dei  ricchi probabilmente non si tradurrebbe  in un miglior accesso al cibo da parte dei poveri, ma  in una riduzione della produzione. Solo un miglioramento economico e sociale può garantire l’accesso del cibo ai poveri.

Per assicurare la fornitura di cibo a tutti gli abitanti della terra, a patto che smettano di moltiplicarsi indefinitamente  e contengano il loro  numero ad un livello “sostenibile”,  occorre quindi creare le condizioni economiche per il migliore utilizzo di tutte le terre coltivabili, anche quelle meno produttive. Questo si può ottenere solo assicurando agli agricoltori prezzi remunerativi, non soggetti alla speculazione finanziaria. Purtroppo però i  prezzi  remunerativi per gli agricoltori spesso non sono alla portata delle popolazioni indigenti. Eppure gli agricoltori si accontentano di poco: prezzi attuali dei cereali – mais 145 €/t –  frumento 186 €/t. – smaltimento dei rifiuti urbani – media italiana 300 €/t – città di Roma 900 €/t.  La produttività della terra è  legata all’andamento climatico, ed è impossibile dosare la produzione in funzione della richiesta;  per averne sempre a sufficienza occorre ottenerne in abbondanza. Servirebbe  un sistema  di conservazione adatto a neutralizzare le oscillazioni produttive, come quelli già sperimentati  sui cereali dagli antichi Egizi, o su cereali, latte e burro dalla Comunità Europea  negli anni tra il 1960 ed il 1980. Il vantaggio odierno é quello di poter destinare le eccedenze non conservabili alla produzione di energia.

Se EXPO pretende di  essere il laboratorio di idee per nutrire gli abitanti del pianeta, deve dibattere questi spinosi problemi, preferibilmente  con chi ha conoscenze pratiche di agricoltura,  e proporre soluzioni credibili. Parafrasando la famosa frase di Leonardo da Vinci: “se ti addiviene di trattare delle acque, consulta prima l’esperienza e poi la ragione”,  si potrebbe scrivere:  “se ti addiviene di trattare del cibo, consulta prima l’esperienza e poi l’ideologia”.

terreno

Redazione Fidaf

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