Le due piste dei pm sul killer degli ulivi

Da dov’è arrivata la Xylella? Dove va cercato l’inizio di questa storia svelata per la prima volta nel 2013 con l’individuazione del batterio? Di certezze per ora non ce ne sono, ma la procura di Lecce che sta indagando sulla questione ha messo a fuoco almeno un paio di ipotesi. Una riguarda un workshop tenuto nel 2010 all’Istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Valenzano, in provincia di Bari. È successo che quella volta, per motivi scientifici, fu autorizzata l’introduzione nel nostro Paese di germi patogeni a scopo di sperimentazione. Si studiavano alcune malattie delle piante fra le quali anche quelle di cui è responsabile la Xylella, e gli scienziati ne portarono un campione. Domanda: può essere nato tutto da quel campione? La risposta è da cercare all’Istituto agronomo che ospitò il convegno ma il pubblico ministero leccese che sta seguendo l’inchiesta, Elsa Valeria Mignone, non ha possibilità di accedere agli atti. Quindi non può ordinare perquisizioni né capire se il batterio della Xylella portato al workshop fosse proprio della subspecie che attacca gli ulivi oppure no, come si sostenne all’epoca.  Lo Iam «gode per legge di immunità assoluta» ha spiegato lo stesso pm in un’intervista.
Indagini meno complicate, invece, sul fronte della seconda ipotesi ritenuta «molto verosimile»: quella secondo cui a introdurre il batterio killer in Italia sarebbero state le piante ornamentali importate dall’Olanda (ad esempio gli oleandri, i ciliegi o i mandorli). Questo spiegherebbe perché i primi focolai dell’infezione sono stati a Gallipoli che è una delle città pugliesi che importa, appunto, piante ornamentali olandesi, quasi sempre provenienti dalla Costa Rica. Ma al di là della scoperta sulla provenienza e l’introduzione in Italia della Xylella fastidiosa, la procura punta anche a eventuali responsabilità colpose: ritardi fra i primi disseccamenti (nel 2011) e l’allarme.
Ulivo

Redazione Fidaf

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