Quello che perdiamo senza OGM

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L’ITALIA ha definitivamente chiuso con gli Ogm. Con la decisione del Consiglio di Stato del 5 febbraio di vietare all’ultimo agricoltore friulano di coltivare mais Ogm e con la proroga del divieto di coltivazione appena firmato dai nostri Ministri in vista della nuova direttiva Ue, la quadratura è completa. Per questo motivo, forse, ora si può discutere più liberamente spiegando “culturalmente” e scientificamente cosa sono gli Ogm, cosa ci siamo (forse) persi, cosa (forse) perderemo nella competizione mondiale per il cibo, cosa abbiamo (forse) guadagnato, ma anche cosa si fa altrove nel campo delle biotecnologie vegetali. Oltretutto, ora che è impossibile coltivare Ogm (intendo quelli dimostrati sicuri per l’ambiente e la salute), viene meno anche l’accusa che chi parla a favore degli Ogm lo fa al “soldo delle multinazionali”. Paradossalmente, proprio oggi che siamo “liberi dagli Ogm”, abbiamo creato le condizioni per essere ancor più al “soldo delle multinazionali”. Siamo infatti costretti, per sempre e senza speranza, a comperare la mangimistica da loro, senza più ambire a contrapporre alcun nostro brevetto ottenuto da centri di ricerca pubblici, e quindi continuando ad acquistare anche sempre più semi (quelli non Ogm, ma che differenza fa?) dalle stesse multinazionali sementiere. Siamo anche tecnicamente dipendenti dalle multinazionali tedesche per le tonnellate di pesticidi che importiamo. E non ci si illuda di poter fare a meno della mangimistica Ogm, senza la quale le “mungiture di piazza” viste il 6 febbraio a Milano sarebbero solo un’anticipazione del disastro finale della zootecnia.

Su queste nuove basi, ho provato a rileggere gli ultimi eventi e li riassumerei nei seguenti punti: 1) L’Italia (come l’Europa) finge di chiudere agli Ogm. L’Europa lo fa lasciando liberi gli Stati di decidere, ben sapendo che molti Paesi mireranno a chiudere, piuttosto che informare i propri cittadini. Così sta accadendo in Italia e posso solo dispiacermi. Ma si chiuderà alle sole coltivazioni, perché quei 4 milioni di tonnellate di soia Ogm che importiamo ogni anno (10 mila tonnellate al giorno) saranno nascosti sotto il tappeto. Continueremo ad importarli. A questi si aggiungono mais e cotone Ogm. Quindi a me pare che il “baccano” sulla volontà di divieto di coltivare Ogm mascheri una notizia importante, cioè che confermiamo la nostra dipendenza dalle importazioni.2) Questa decisione sancisce anche che gli Ogm (mi riferisco, uno a uno ai 46 che l’Europa importa) non sono affatto dannosi per la salute animale e umana visto che in tutta questa discussione europea nessuno ha sollevato un grido di allarme circa la loro “pericolosità sanitaria”. Anche questa è una notizia importante.

3) Nessuna multinazionale soffrirà di questa decisione europea, visto che con essa l’Europa certifica la propria totale dipendenza da queste multinazionali per i semi Ogm e per i semi non Ogm. Nulla più è nostro nemmeno la speranza di un futuro diverso. Questo è solo triste.

4) Quando il Governo italiano vieterà la coltivazione anche di quell’unico Ogm autorizzato dall’Europa, il mais Bt, le nostre imprese agricole, che se ne potevano giovare economicamente, dovranno acquistare mangime Ogm dai consorzi agrari, incluso mi pare quelli di Coldiretti, contraria agli Ogm. Sono troppe le contraddizioni.

5) La ricerca pubblica continuerà a vedersi negata ogni possibilità di sperimentare gli Ogm in campo aperto e la biodiversità italiana continuerà a ridursi senza che nessuno scienziato pubblico possa ingegnarsi per tentare di bloccarne l’esito fatale. Alcuni ricercatori mi spiegavano di non avere mai avuto la possibilità di studiare in Italia le loro innovazioni in campo agrario. Nelle loro parole c’è una sofferenza profonda, quasi fisica.

6) In compenso abbiamo ottimi prosciutti e formaggi italiani che (fortunatamente) continueranno a essere prodotti usando mangimi Ogm stranieri importati; abbiamo anche prodotti biologici di nicchia — che temo nemmeno esistano davvero se è vero che il “biologico” è “una procedura di tracciabilità di un prodotto piena di deroghe perché impossibile da attuarsi” — ma che i cittadini italiani dovrebbero essere sempre pronti a pagare di più senza che venga fornita alcuna prova che siano veramente qualitativamente migliori (non è inaccettabile?); abbiamo la nostra biodiversità (piante varie) in via di estinzione, che non capisco come potrebbe essere peggiorata da quell’unico mais Ogm che evita l’uso di pesticidi o da interventi di raffinata “microchirurgia genetica” mirati a salvare il pomodoro San Marzano, le mele della Val d’Aosta etc.

Se questa lettura ha senso, mi chiedo ancora a quale schizofrenia dobbiamo tutto questo. Non sono interessata agli Ogm in quanto tali, ma mi interessa capire come in una società si possa discutere razionalmente con autonomia e libertà di un tema controverso e contraddittorio.

Spesso si dipingono i propri lettori come ostili agli Ogm. Ma non è esattamente così. I cittadini non conoscono, e lo dimostra una curiosa indagine americana che si conclude con la richiesta dei cittadini di etichettare i “cibi che contengono Dna”, senza immaginare che ogni nostro pasto contiene 160 chilometri di Dna! Il pubblico è quindi solo drammaticamente disorientato ed intimorito. Un esperimento condotto al Kaufman Center di New York mostra come dopo un serio dibattito sugli Ogm si sia passati dal 32% di favorevoli al 60%. Il pubblico è quindi disposto a cambiare la propria opinione, se informato in modo coinvolgente e corretto. E poi tutti i sondaggi anche di Eurobarometro dicono che i cittadini vogliono essere aggiornati e informati dagli scienziati. O meglio, da persone competenti, che argomentano sulla base dei fatti, cioè fornendo prove pubbliche, documentate e quindi verificabili di ciò che sostengono.

Penso che scienziati e media questo servizio lo debbano al nostro Paese e alle generazioni future. Non possiamo consentire che per decidere le strategie imprenditoriali e l’innovazione ci si continui ad affidare ai calendari lunari o alle narrazioni bucoliche dei “bei tempi andati”. Serve un’opera pedagogica con il Paese. Gli scienziati devono dimostrarsi capaci di ascoltare e capire i propri errori, imparando anche dalle diverse sensibilità della popolazione. Ma, contemporaneamente, deve essere dato loro l’ascolto necessario per rendere pubblici e utili i loro “chili di prove”. Senza questa alleanza saremo sempre in balia dei casi Stamina, delle campagne anti-vaccinazione, delle scie chimiche. Dobbiamo spiegare i fatti e far sì che i ragionamenti partano da essi.

Nel mio piccolo continuerò a fare la mia parte per ancorare le decisioni pubbliche ai fatti. Magari anche per convincere “la politica” che è tempo, proprio in questa congiuntura economica, di indirizzare con determinazione e fiducia maggiori investimenti in conoscenza, ricerca e cultura, che sono preziosi moltiplicatori dell’utilità sociale e del benessere economico. Temi ai quali intendo dedicarmi, insieme alle sfide scientifiche del mio laboratorio universitario per costruire politiche che possano ridurre il senso di abbandono che le famiglie e i malati affetti da devastanti malattie neurologiche (tutte) vivono ogni giorno.

Redazione Fidaf

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