L’evoluzione dell’itticoltura

 
La domesticazione di nuove specie ittiche e la diversificazione nelliitticoltura italiana ed europea. 
L’itticoltura consiste nell’allevamento degli organismi acquatici, quali pesci, molluschi, crostacei e piante con l’obiettivo di consolidare e incrementare la produzione. Questo obiettivo può essere raggiunto o con decisi interventi sulla vita degli animali, quali la riproduzione artificiale, la somministrazione di mangimi commerciali e in molti casi l’ossigenazione delle acque – si parla quindi di allevamento intensivo – oppure semplicemente raccogliendo quello che naturalmente è prodotto in bacini confinati, dove sono state introdotte le forme giovanili degli organismi acquatici allevati, lasciando che la produttività spontanea di quell’ambiente fornisca l’alimento. In questo caso si parla di sistemi di allevamento di natura estensiva. Esistono molte forme intermedie in cui si può fornire parte dell’alimento oppure si può stimolare la naturale produttività di un dato ambiente tramite interventi di fertilizzazione delle acque, in modo da incrementare la produzione primaria di organismi vegetali alla base della rete trofica acquatica.
Tradizionalmente l’itticoltura europea è nata con l’allevamento di tipo estensivo di pesci d’acqua dolce, passando poi a specie anadrome, per poi arrivare allo sviluppo negli ultimi 50 anni dell’allevamento di specie marine.
Al contrario di quanto avviene nella zootecnia terrestre, dove al giorno d’oggi sono allevate poche specie di mammiferi e di uccelli, l’itticoltura, secondo quanto riportato dalla Fao nel suo report del 2009, vede il coinvolgimento di circa 250 diverse specie ittiche ad altrettante specie di altri animali acquatici. Il coinvolgimento di questo elevatissimo numero di specie diverse di pesci ha comportato che queste non abbiano subito il percorso di addomesticamento spinto che si è ottenuto nel resto degli animali di interesse zootecnico, in quanto lo sforzo di miglioramento genetico non si è concentrato su obiettivi comuni riguardanti un numero limitato di specie. Il bovino o il pollo allevato sono profondamente differenti dalle forme ancestrali selvatiche, in quanto migliorati per adattarli alle condizioni di allevamento e per ottimizzarne produttività. Questi animali risultano quindi totalmente dipendenti dalla presenza dell’uomo e non sarebbero in grado di riadattarsi alla vita in un contesto selvatico.
Questo fenomeno è avvenuto solo in minima parte in itticoltura. Un pesce allevato che si trovasse a essere liberato nell’ambiente acquatico dopo poco tempo risulterebbe difficilmente distinguibile dagli esemplari selvatici appartenenti alla medesima specie. Questo aspetto è un tema di forte attualità in quanto la fuga di esemplari allevati che vanno a integrarsi alle popolazioni selvatiche della medesima specie può portare a un impoverimento genetico delle popolazioni selvatiche, con rischi alla sopravvivenza di queste ultime. Questo aspetto rappresenta una forte preoccupazione nell’allevamento del salmone atlantico (Salmo salar), la cui popolazione selvatica è in forte contrazione. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che una concausa di questo declino sia dovuto alla presenza di salmoni di allevamento fuggiti dalle gabbie galleggianti in cui questi pesci vengono allevati e che si sono integrati con le popolazioni selvatiche. La riproduzione di questi pesci porta allo sviluppo di individui che mostrano i tratti genetici selezionati per gli esemplari di allevamento, ossia la tendenza a una crescita più rapida rispetto ai coetanei selvatici, ma con tassi di sopravvivenza in condizioni di vita selvatica notevolmente ridotti [1].
Teletchea e Fontaine [2] propongono un sistema di classificazione delle specie ittiche allevate in base a 5 livelli di domesticazione. Il primo livello comprende le specie in cui si stanno ancora tentando gli approcci per poter avere una riproduzione in cattività. I livelli 2 e 3 vedono coinvolte specie la cui riproduzione è raggiunta in allevamento ma che ancora richiedono input dalle popolazioni selvatiche. Il livello 4 prevede che le specie siano completamente slegate dalle popolazioni naturali, ma che non vi siano piani di selezione genetica dei riproduttori. Il quinto livello comprende le specie che sono soggette a piani di selezione volti a raggiungere determinati obiettivi zootecnici. Seguendo questa analisi il numero delle specie ittiche con un alto livello di domesticazione si riduce molto rispetto a tutte le specie citate dai rapporti della Fao, raggiungendo le 30 unità.
La spinta alla diversificazione e all’ampliamento delle attività che oggi si riscontra in itticoltura è il frutto della necessità di soddisfare una nuova domanda e al tempo stesso di adeguarsi a cambiamenti strutturali e del mercato. Gli allevatori sono alla costante ricerca di specie ittiche che si possano allevare mutuando le medesime tecniche utilizzate con le specie tradizionali, i cui prezzi di vendita siano però superiori, in grado di garantire un profitto maggiore. L’allevamento del salmerino (Salvelinus alpinus), per esempio, può sostituire e integrare l’allevamento della trota senza dover modificare l’impianto di itticoltura, producendo un pesce in grado di garantire un profitto superiore.
Il mutamento delle condizioni climatiche e ambientali, con la variazione della temperatura media delle acque, ha creato sempre maggiori difficoltà ad allevamenti di animali fortemente dipendenti alla temperatura dell’ambiente in cui vivono. Allevare pesci e altri organismi al di fuori del loro range termico di conforto crea una condizione di stress cronico all’animale e quindi favorisce l’ingresso di nuove patologie negli allevamenti con una conseguente perdita di produttività. Un esempio di diversificazione legato alle criticità climatiche è la riconversione di alcuni allevamenti di pianura presenti in Italia settentrionale che stanno progressivamente abbandonando la produzione di trota per dedicarsi ad altre specie, principalmente lo storione, che ben sopportano e in alcuni casi prediligono le temperature delle acque che durante la stagione estiva superano abbondantemente i 20 gradi centigradi.
Un’ulteriore spinta che ha generato interesse verso la diversificazione in itticoltura e quindi la ricerca di nuove specie ittiche da allevare in maniera intensiva è l’ottimizzazione di alcune fasi della filiera produttiva. Le avanotterie dedicate alla produzione di individui giovanili delle specie marine branzino e orata richiedono grandi investimenti realizzativi e sono utilizzate per un limitato periodo dell’anno, in quanto le specie sopracitate si riproducono durante i mesi invernali. È nata quindi l’esigenza di individuare specie marine con riproduzione estiva, in modo da sfruttare le avanotterie anche quando non vi è produzione di branzino e orata. Una specie con queste caratteristiche è l’ombrina boccadoro (Argyrosomus regius), specie pregiata che si riproduce in tarda primavera-estate e che quindi risulta complementare alle specie tradizionalmente allevate. Utilizzare un’avanotteria marina durante tutto l’anno consente agli allevatori di ottimizzare anche alcune strutture che sono deputate alla produzione del primo alimento che le specie ittiche marine consumano nel corso della loro vita. Questo alimento è costituito da organismi microscopici (per esempio i rotiferi, tra cui il più utilizzato è il Brachionus plicatilis) che richiedono produzione e controlli costanti. La necessità di produrre durante tutto l’anno questi organismi – e di conseguenza le microalghe destinate alla loro alimentazione – ottimizza il loro ciclo produttivo. Nel 2012 la produzione europea di ombrina boccadoro ha superato le 14.000 tonnellate (Fao), principalmente allevata in Italia, Francia e Spagna.
Nella ricerca di nuove specie ittiche da allevare si deve tenere conto anche delle attuali problematiche di sostenibilità nella formulazione dei mangimi utilizzati in itticoltura. Storicamente le materie prime utilizzate nella preparazione di diete per i pesci allevati si basano sull’utilizzo di farine e oli di pesce. Questi due ingredienti derivano dalla trasformazione di piccoli pesci pelagici pescati appositamente per questo scopo e, in quantità più modeste, dagli scarti della lavorazione del pesce destinato al consumo umano. Le quantità di pesce selvatico disponibile alla produzione di materie prime è in continuo calo, in seguito allo sovrasfruttamento degli stock oceanici, mentre la richiesta di farine e oli marini è in crescita costante. Questo bilancio si traduce in un costante aumento dei prezzi di farina e olio di pesce e in una conseguente loro progressiva sostituzione nei mangimi con materie prime di origine vegetale. Vi è quindi la tendenza alla ricerca di allevamenti che coinvolgano specie dal comportamento alimentare più onnivoro, dove una maggiore presenza di ingredienti vegetali nella dieta non comporti le problematiche evidenziate nelle specie prettamente carnivore.
Tabella riassuntiva Moretti.jpgLa buona riuscita e l’ottimizzazione dell’allevamento di nuove specie comporta il superamento di alcune fasi cruciali del processo produttivo. In particolare è necessaria la padronanza delle tecniche riproduttive, dello svezzamento e dell’allevamento delle fasi giovanili, la conoscenza dei fabbisogni alimentari e delle condizioni ambientali in cui la specie ha le performance di crescita ottimali. Le specie candidate a sostituire parzialmente le specie attualmente allevate devono avere la caratteristica di essere poco suscettibili agli eventi stressanti che si possono verificare in allevamento e, quindi, di garantire performance di crescita ottimali.
La diversificazione in itticoltura ha generato sempre più interesse anche a livello comunitario, spingendo l’Unione europea a finanziare un progetto (www.diverSifyfish.eu), in cui vari gruppi di ricerca di diverse nazioni europee sono al lavoro per trovare le soluzioni alle problematiche emerse nell’allevamento di alcune specie ittiche che hanno dimostrato elevate potenzialità ma che presentano alcune difficoltà che per ora limitano il loro allevamento su larga scala.
Per quanto riguarda le nuove specie marine allevate nel nord Europa, ma anche nel nord della Spagna, esistono specie che si sono consolidate e che già giungono sui nostri mercati – quali il rombo chiodato (Psetta maxima), la cui produzione nel 2012 ha superato le 77.000 tonnellate (Fao) – e altre il cui allevamento ha raggiunto dimensioni produttive ma con quantità di prodotto ancora limitato, come il merluzzo nordico (Gadus morhua) di cui la Norvegia ha prodotto circa 10.000 tonnellate nel 2013 o l’halibut (Hipoglossus hipoglossus) con 1.740 tonnellate prodotte nel 2012. A livello sperimentale sono in corso prove che riguardano l’allevamento dell’eglefino (Melanogrammus aeglefinus) e del pollack (Pollachius pollachius), pesci appartenenti alla famiglia dei gadiformi. Per queste due specie non si è ancora messa perfettamente a punto la tecnica di svezzamento larvale che consente di adattare la larva a una dieta basata su mangime artificiale dopo una prima fase di alimentazione basata su alimento vivo. Solamente un numero ristretto di individui sul numero totale di larve prodotte alla schiusa è quindi indirizzata alla fase di ingrasso, rendendo troppo costoso il loro allevamento su larga scala, considerando anche il minore valore commerciale di questi due pesci se confrontato con quello del merluzzo nordico [3].
La maricoltura mediterranea è il comparto che ha visto il maggior numero di tentativi di introduzione di nuove specie ittiche. La tabella (modificata da Lara Barazi-Yeroulanos [4]) mostra tutte le specie di cui sono noti dei tentativi di allevamento e sono evidenziate le eventuali difficoltà riscontrate durante le sperimentazioni.
Per alcune specie sono emerse problemi legati a crescite stentate, con il raggiungimento tardivo della taglia commerciale, come per esempio i saraghi (a eccezione del sarago pizzuto) e le cernie. Per altre specie (per esempio l’ombrina) sono emerse difficoltà legate alla loro sensibilità ad alcune patologie, il cui controllo nelle condizioni di allevamento è difficile. Altre specie ittiche hanno presentato dei costi di allevamento tali da non rendere competitivo il prodotto allevato rispetto a quello pescato, come per esempio alcuni saraghi, salpa [5]. Una specie il cui allevamento è ancora alle fasi iniziali, ma la cui produzione sembra essere in aumento è la sogliola atlantica (Solea senegalensis), la cui produzione è attiva in Spagna e Portogallo, con valori che per ora superano di poco le 200 tonnellate, ma che sono previsti in crescita nel prossimo decennio [6].
Vi sono poi alcuni pesci dall’alto valore commerciale e dalla crescita rapida, come per esempio la ricciola (Seriola dumerili), che non accettano come alimento il mangime estruso, ma richiedono una dieta a base di pesce fresco pescato appositamente per questo scopo. Una forma simile di allevamento è attualmente sotto i riflettori e si effettua per il tonno rosso che ha un mercato molto particolare e il cui elevato valore alla vendita compensa gli alti costi legati all’approvvigionamento dell’alimento.
L’itticoltura di pesci d’acqua dolce è prevalentemente dedicata all’allevamento dei ciprinidi nell’Europa centro-orientale e dei salmonidi in Europa settentrionale, con alcune eccezioni come l’Italia che ha una forte vocazione alla produzione di trote. Oltre alle tradizionali tecniche di allevamento eseguite in stagni e in raceways, l’itticoltura d’acqua dolce ha visto radicarsi anche l’allevamento nei sistemi a ricircolo nei quali l’acqua è costantemente depurata dai composti di rifiuto generati dal metabolismo dei pesci in questa allevati. Questi impianti consentono di allevare anche specie ittiche al di fuori delle loro zone di origine, in quanto è possibile controllare la temperatura dell’acqua e tenerla ai valori ottimali per la crescita di una determinata specie.
Nel nord Europa l’itticoltura a ricircolo è utilizzata da alcuni anni per la produzione ad altissime densità di anguille. Attualmente però l’allevamento di questa specie è in fortissima crisi, poiché è basato sull’ingrasso di individui selvatici catturati lungo le coste europee. Il declino della popolazione mondiale di anguilla ha creato una cronica mancanza di individui giovanili da avviare alla fase di ingrasso, costringendo molti allevatori a considerare altre specie ittiche da inserire negli impianti. Sono state quindi eseguite ricerche che hanno consentito di perfezionare l’allevamento in sistemi a ricircolo di specie d’acqua calda a rapida crescita, come per esempio il pesce gatto africano (Clarias gariepinus) o la tilapia (Oreochromis niloticus e Oreochromis mossambica), specie che si prestano molto a essere allevate a elevate densità in quanto non hanno esigenze particolarmente restrittive per quello che riguarda la presenza di ossigeno in acqua e sono resistenti a concentrazioni elevate dei composti del ciclo dell’azoto quali, per esempio i nitrati, composti che tendono ad accumularsi nei sistemi a ricircolo. Queste specie sono inoltre molto vantaggiose dal punto di vista della formulazione delle loro diete, in quanto sono in grado di convertire in maniera molto efficiente alimenti composti da ingredienti di basso costo. Altri filoni di ricerca hanno perfezionato l’allevamento di specie ittiche tradizionalmente presenti nelle acque europee adattandole ai sistemi a ricircolo, quali il lucioperca (Stizostedion lucioperca) o il pesce persico (Perca fluviatilis), ottenendo una crescita molto più rapida rispetto a quella che si registra in natura, grazie al controllo della temperatura che è mantenuta costantemente ai valori in cui queste due specie esprimono le loro performance di crescita migliori. Per esempio, per quello che riguarda il lucioperca, la crescita corporea lo può portare a una taglia di 1 kg in poco più di 12 mesi di allevamento.
Per quanto riguarda le tecniche di allevamento più tradizionali in nord Europa stanno crescendo le produzioni di salmerini (Salvelinus alpinus e Salvelinus fontanilis) e coregoni (Coregonus lavaretus), allevati in gabbie galleggianti poste sui laghi scandinavi. Nella parte continentale europea è in aumento l’allevamento di varie specie di storione, destinate in parte alla produzione di caviale e del persico spigola (Morone sexatilis x Morone chrysops).
Vittorio Maria Moretti
Mauro Vascon
Vedi anche INTERSEZIONI

Riferimenti bibliografici
[1] McGinnity P., Prodöhl P., Ferguson A. , Hynes R., O’Maoiléidigh N., Baker N., Cotter D., O’Hea B. , Cooke D., Rogan G., Taggart J., Cross T., 2003. Fitness reduction and potential extinction of wild populations of Atlantic salmon, Salmo salar, as a result of interactions with escaped farm salmon. Proceedings of the royal society of biological sciences, 270, 2443-2450.

[2] Teletchea F., Fontaine P., 2014. Levels of domestication in fish: implications for the sustainable future of aquaculture. Fish and fisheries, 15, 181-195.

[3] Le Francois N., Jobling M., Carter C., Blier P., 2010. Finfish aquaculture diversification. MPG books group.

[4] Lara Barazi-Yeroulanos, 2010. Synthesis of Mediterranean marine finfish aquaculture. A marketing and promotion strategy. Fao.

[5] Schmidt G., Espinós Gutiérrez F. J., 2010. Diversification in aquaculture: a tool for sustainability. Spanish Ministry of Environmental, rural and marine affairs.

[6] Gouveia A., 2014. Production of farmed turbot and Senegalese sole in Portugal. International aquafeed.

Autore : Redazione

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