MODELLO C3S PER ATTIVARE LO SVILUPPO RURALE NEI PVS: motivazioni e struttura

MODELLO C3S PER ATTIVARE LO SVILUPPO RURALE NEI PVS: motivazioni e struttura

 

Il modello da noi proposto per attivare lo sviluppo rurale nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) trae origine dall’esperienza del progetto: “Produzione di cibo appropriato: sufficiente, sicuro e sostenibile” (C3S) che la Fondazione Invernizzi ha finanziato all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Progetto ispirato alla realtà (vedere), opportunamente approfondita (giudicare), per trarne i necessari suggerimenti atti a superarla (agire). In parentesi i 3 verbi che Francesco dice di aver tratto dall’assemblea di Aparecida (2007) e necessari per affrontare i problemi socio-economici del momento. Così, dopo aver constatato che:

  • il mondo contadino dei Paesi poveri si dibatte in un circolo vizioso: povertà → assenza di sviluppo → povertà e che ciò implica un intervento esterno di rottura;
  • sinora gli interventi non hanno avuto grande successo, anche quelli onesti, perché la rete per pescare offerta ai piccoli contadini era in forma irraggiungibile e senza alcuno sforzo per coinvolgerli;
  • non è sufficiente portare strutture, infrastrutture e tecnologia, sia pure alla loro   portata (semplice e di cui si possano avvalere direttamente), per le ragioni            successivamente illustrate.Non meno importante è individuare idonee soluzioni e soprattutto far si che trovino una applicazione permanente nelle piccole aziende familiari. A ciò si oppongono infatti molte circostanze sfavorevoli: in primis l’estrema frammentazione delle unità produttive, la difficoltà nel creare forme associative, il livello educativo molto basso e il retaggio culturale intriso di superstizione e frustrazione, senza trascurare l’indisponibilità di mezzi produttivi (sementi, concimi, antiparassitari, attrezzi un poco avanzati) e la mancanza di capitali.
    Memori di quanto, agli inizi del secolo scorso, ha rappresentato l’avvio di forme associative fra cui i Consorzi Agrari e la loro Federazione, per il superamento delle analoghe difficoltà che attanagliavano il sistema rurale italiano, la nostra ipotesi è stata quella di farne tesoro. In particolare con uno strumento che, con la sua presenza capillare sul territorio, fosse in grado di assicurare il trasferimento della necessaria innovazione, fornendo al contempo i necessari mezzi di produzione. Di qui la costituzione, mutatis mutandis, di Centri Pilota (Diocesani) che, fungendo da interfaccia fra istituzioni tecnico-scientifiche da un lato e i Centri Pilota periferici (Parrocchiali) dall’altro, fossero di supporto inclusivo per i contadini; come degli animatori che, tenendoli per mano, rendessero possibili i primi fondamentali passi sulla via dello sviluppo (coinvolgendoli per superare l’ultimo miglio, cioè la distanza fra il mondo tecnologico e la capanna del piccolo contadino). Meglio se connessi a un centro di coordinamento nazionale, di espressione governativa, in grado di tracciare le linee guida dello sviluppo agricolo del Paese entro cui il sistema dei Centri pilota dovrebbe operare. Tutto ciò nella prospettiva di formare anzitutto unità autonome, anche economicamente, e successivamente di avviare esperienze analoghe per disseminarle altrove in tempi ragionevoli; anche grazie al benefico effetto della diffusione a macchia d’olio entro le comunità circostanti (per emulazione facilitata dall’essere alla loro portata).
    Questa è la base del nostro modello C3S, già sperimentato per 6 anni in India (Meghalaya) e RD Congo (Kasai orientale) in connessione con la Chiesa Cattolica per la sua presenza capillare sul territorio, che opera sui due livelli prima indicati e, nel suo complesso, ha le seguenti finalità:
  1. attività conoscitive: cioè raccolta di informazioni su stato nutrizionale, condizioni igienico-sanitarie, tecniche produttive per piante e animali, tecniche di conservazione, ecc.;
  2. attività sperimentali per accertare l’utilità di nuove proposte tecniche riguardanti: produzioni vegetali, produzioni animali, trasformazione e conservazione dei prodotti, “produzione” di energia, ecc.) per verificare la possibilità di loro applicazione locale;
  3. organizzazione di forme di disseminazione delle nuove tecniche (con dimostrazioni in campo, corsi di formazione per adulti, produzione e divulgazione di schede tecniche, poster ecc.) relative a: coltivazione (anche fruttiferi e forestazione), allevamento, conservazione, trasformazione, cucina, educazione alimentare generale e specifica per i bambini fra i 2 e gli 8 anni (la fase critica per morte o mancato sviluppo sia fisico che cognitivo);
  4. aggregazione della popolazione in forme “solidali” (associazioni e solo successivamente cooperative) per rendere possibile l’acquisizione e la gestione dei mezzi tecnici di produzione (lavoro animale e piccola meccanizzazione, sementi o animali migliorati, farmaci per piante ed animali, attrezzature comuni quali mulino, frantoio per olio ecc.), ma anche per conservare e vendere i prodotti a migliori condizioni, ecc.;
  5. razionalizzare l’approvvigionamento e l’uso delle acque: per uso domestico, animale e irrigazione;
  6. prevedere attività formative per gli stessi componenti del Centro Pilota, anche perché in connessione a strutture universitarie e/o Centri di ricerca locali e/o stranieri.

In sintesi, la strutturazione ai diversi livelli di diocesi e parrocchie potrebbe essere la seguente:

  • un Centro Pilota di riferimento (diocesano), con un piccolo team di tecnici locali in possesso delle necessarie competenze e soprattutto motivazioni (atte a coprire le predette finalità); in esso si materializza il raccordo, anzitutto con gli Enti finanziatori (es. CARITAS della stessa diocesi e/o esterni che dovranno prevedere al loro sostentamento nel tempo), ma soprattutto con gli Enti in grado di fornire conoscenza (Università e/o Centri di ricerca locali o stranieri). In questa tipologia di Centro debbono nascere le proposte per la soluzione appropriata dei problemi (igiene, nutrizione, coltivazione, allevamento, conservazione, organizzazione, ecc.) e si debbono materializzare gli strumenti didattici e operativi poi applicati al livello parrocchiale (essendo interfacciato con tali Centri). Oltre al coordinatore (sacerdote) e al personale, dovrà essere dotato di idonea superficie per le dimostrazioni in comunità, di un minimo di edifici e di attrezzature da ufficio e per le attività dimostrative-formative, di mezzi di trasporto persone-cose per le varie necessità;
  • Centri Pilota periferici (parrocchiali, quindi in numero più o meno elevato): concettualmente analoghi al diocesano e a esso connessi per segnalare le istanze locali, ma senza personale tecnico di particolare qualificazione (solo catechisti rurali formati presso il Centro diocesano). Essi saranno prevalentemente rivolti a trasferire alla popolazione quanto elaborato dal CP diocesano (mediante dimostrazione-formazione permanente-organizzazione in loco), agendo quali veri e propri animatori. Inizialmente sarà opportuno un adeguato supporto finanziario, ma progressivamente dovranno diventare autosufficienti, anche grazie ai servizi prestati alla comunità che pertanto dovrà farsene carico. Anche presso questi Centri, sarà necessario disporre di un minimo di superficie, di edifici e di attrezzature varie per poter assolvere ai compiti (finalità) loro assegnati.

Con particolare riferimento alle competenze tecniche necessarie, specie nel Centro di riferimento e da soddisfare con un numero di tecnici non necessariamente pari ad esse, sono primariamente le seguenti:

  • Educazione nutrizionale (allattamento-svezzamento, bambini ed anche adulti);
  • Coltivazione piante erbacee ed arboree;
  • Allevamento animali (monogastrici e ruminanti);
  • Trasformazione e conservazione prodotti (cereali, legumi, frutta, verdura, prodotti animali);
  • Meccanizzazione (ivi compreso l’uso degli animali) per lavorazioni agricole, trasporti, trasformazione prodotti, (macinazione, estrazione olio, pozzi di acqua, pompaggio), sorgenti energia (varie forme);
  • Organizzazione contadini (associazioni) per acquistare, conservare, vendere, ma anche per avviare attività artigianali, di formazione, di assistenza tecnica ecc.

 

(a cura del Prof. Giuseppe Bertoni, giuseppe.bertoni@unicatt.it)

Vedi articolo

Danza di contadini - Pieter Brueghel Il Vecchio
Danza di contadini – Pieter Brueghel Il Vecchio
Autore : Facoltà Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali di Piacenza, U.C.S.C.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *