Grani antichi e bufale moderne: il caso del kamut
Raimondo Cubadda, già Professore Ordinario di Tecnologie Alimentari; Presidente Onorario dell’Associazione Italiana di Scienze e Tecnologie dei Cereali (AISTEC).
I cereali sono la base della nostra alimentazione e, come tali, in epoca moderna sono stati oggetto di studi e ricerche a carattere chimico, biochimico, tecnologico e nutrizionale che hanno consentito di acquisire conoscenze di base e di risolvere svariati problemi pratici di utilizzazione.
Dal punto di vista nutrizionale tali studi hanno messo in evidenza, fra l’altro, il ruolo che i cereali giuocano nel contesto di un regime dietetico da perseguire per un adeguata protezione della salute. In tal senso è stato anche messo in evidenza che il contributo dei cereali ad una dieta salubre deriva, in generale, dalla loro composizione complessiva quantunque vi siano più risultanze scientifiche sull’azione protettiva di singoli componenti.
Le conoscenze scientifiche acquisite nel corso degli anni non sono servite al solo scopo di precisare il loro ruolo nella dieta umana ed animale ma hanno, nel contempo, stimolato la fantasia e talvolta la speculazione commerciale.
Periodicamente, infatti, vengono pubblicizzate proprietà miracolose attribuite ad un cereale particolare oppure ad uno o più suoi componenti. Oggi la ribalta ce l’hanno i grani antichi ed uno di essi in particolare, il Kamut.
Partiamo dai grani impropriamente definiti antichi a sostegno dei quali la pubblicità, con evidente demagogia, tira in ballo cose serie come la biodiversità, la difesa culturale del territorio e l’aiuto ai piccoli produttori. Questa è la facciata. Le bufale del marketing invece si basano sulla superiore qualità nutrizionale e organolettica dei grani antichi rispetto a quelli moderni. Naturalmente il tutto sul presupposto “l’ho detto io perciò è vero”.
Relativamente all’aspetto nutrizionale l’accusa formulata nei confronti dei grani moderni è quella di essere responsabili dell’aumento della celiachia e delle intolleranze alimentari.
Premesso che nessun individuo con diagnosi di celiachia può assumere senza seri danni alcun prodotto derivato dal frumento (moderno, antico, vecchio o vintage che sia), dal farro, dalla segale, dall’orzo, dall’avena, dal kamut e dai loro ceppi ibridati, la supposta minore aggressività dei grani antichi nei confronti della suddetta patologia è smentita da recenti evidenze scientifiche che dimostrano la presenza in essi degli stessi epitopi tossici per il celiaco riscontrati nei grani moderni, talvolta, come sarà meglio specificato di seguito, in numero maggiore rispetto a quest’ultimi.
Come è noto, l’epitopo è un frammento di una proteina (nel frumento gliadina e glutenina) di pochi amminoacidi legati insieme. Ogni proteina contiene moltissimi epitopi. Fra questi, ne sono stati individuati nel frumento una trentina, presenti soprattutto nelle alfa-gliadine, che sono tossici per il celiaco.
Una recente ricerca, non comprensiva certamente di tutti i grani antichi esistenti e aperta ad altri contributi sull’argomento, ha messo in evidenza che i grani antichi esaminati hanno più epitopi tossici di quelli moderni e pertanto da questo punto di vista si ritiene siano più dannosi per i celiaci. (Ribeiro M. et al, 2016)
Circa la sbandierata maggiore sensibilità al glutine (pre-infiammatoria) dei grani moderni rispetto a quelli antichi, l’argomento è piuttosto controverso e ci sono in campo internazionale diversi studi che escludono l’esistenza di differenze fra essi. Inoltre, da altri importanti studi emerge che ad incidere sui sintomi della cosiddetta sensibilità al glutine (sindrome del colon irritabile) possano essere altre sostanze come il glutammato, gli additivi alimentari conservanti (benzoato, solfiti e nitrati) e coloranti alimentari. Una recente ipotesi che trova sempre maggiori riscontri e credito è quella che a scatenare i disturbi gastrointestinali non sia il glutine ma un gruppo di carboidrati, i cosiddetti FODMAPS ossia oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentescibili presenti in prodotti animali come il latte, in legumi, in cereali, in molte frutta e verdure (Barret 2012; Gibson 2012; Muir 2013)
Secondo ricerche di Shepherd et al (2008), una dieta senza FODMAPS riesce ad alleviare i sintomi del colon irritabile cosa non totalmente fattibile con una dieta priva di glutine perché vi sono altre possibili fonti che scatenano la reazione.
D’altro canto, è da sottolineare che solo con un “challenge” con il glutine in doppio cieco (costoso e di non comune esecuzione) si riesce a diagnosticare con certezza una intolleranza al glutine mentre l’esito con altri marker è piuttosto incerto. Questo handicap, le autodiagnosi e una cattiva alimentazione portano spesso a immaginarsi una intolleranza al glutine inesistente ed ad accrescere il mito del glutine untore.
Per ultimo, last but not least, la bufala del superiore valore organolettico dei prodotti (pane e pasta ) ottenuti da grani antichi. Vediamo per primo il pane.
Una ricerca del CREA (Centro per la Ricerca in Agricotura e l’Analisi dell’Economia Agraria) ha investigato l’attitudine panificatoria di due varietà di grano duro, una antica e l’altra moderna. La granella è stata macinata per entrambe, con due tecniche diverse, lievitata con due differenti agenti lievitanti e i pani sono stati cotti con due diversi tipi di forno. Sulle 16 tipologie di pani ottenuti sono stati determinati l’odore, il colore, il sapore, la consistenza della mollica e l’alveolatura. Lo studio pubblicato sulla rivista Scientific Report di Nature conclude che la convinzione che il pane di grani antichi abbia caratteristiche organolettiche superiori ai grani moderni è priva di fondamento (Ficco et al 2017).
Le risultanze di questo studio, ben programmato, offrono al consumatore l’opportunità di operare scelte consapevoli ed economicamente più convenienti sottraendosi alle mode alimentari sostenute dalla disinformazione.
Per quanto riguarda la qualità della pasta ottenuta dai grani antichi appare preliminarmente opportuno ricordare che questa è strettamente correlata alla qualità (forza) del glutine che nei cosiddetti grani antichi, è noto, essere piuttosto scadente. Poiché la pubblicità ci racconta che per l’essiccamento vengono utilizzate le basse temperature, la pasta ottenuta da grani duri con tali caratteristiche ed essiccata in tali condizioni diventa con la cottura collosa, ammassata e di scarsa consistenza. Solo adottando le alte temperature d’essiccamento che hanno la capacità di indurre profonde modificazioni nei componenti della semola, in particolare sulle proteine del glutine, si può ottenere una qualità di cottura del prodotto finito appena accettabile. In merito esiste un ampia letteratura e una nostra ricerca pubblicata su Cereal Chemistry (Cubadda R. et al 2007) conferma, in maniera inequivocabile, che nel caso di glutine debole le alte temperature inducono significativi miglioramenti della qualità di cottura e dimostra che nel caso di glutine forte e buon tenore proteico (come si riscontra in molte varietà moderne) non c’è bisogno di forzare le temperature e si può conseguire un buon prodotto anche a temperature medio basse.
Un ultima considerazione. Quando acquistiamo a caro prezzo pane, pasta o qualsiasi altro prodotto confezionato con uno o più grani antichi chi garantisce che lo siano veramente?
Chi ci assicura che per tutta la lunga filiera (campo- stoccaggio- prima trasformazione nel molino- seconda trasformazione nel panificio o pastificio- commercializzazione-consumo) la/e varietà di grano antico sia/no realmente quella/e dichiarata/e? Esiste un disciplinare di produzione e un soggetto terzo indipendente che certifichi l’intera filiera dal campo alla tavola? NO. Allora di cosa stiamo a cianfrugliare?
Veniamo al Kamut che è il centrale obiettivo del presente scritto. Come è noto il Kamut è un marchio commerciale di proprietà dell’azienda americana Kamut, fondata da Bob Quinn, e designa un grano tetraploide della specie Triticum turanicum, denominato Khorasan dal nome dell’omologa regione iraniana. Questo grano fu registrato per la prima volta all’USDA nel 1990 come QK-77. La sua storia “remota e affascinante”, ora ripulita e corretta dal proprietario del marchio, ci porta lontano nel tempo.
Inizialmente si raccontava che dopo la seconda guerra mondiale, un pilota americano raccolse alcuni semi di un cereale in un sarcofago rinvenuto in Egitto.Il militare li consegnò ad un amico che li affidò a suo padre, coltivatore di cereali del Montana. Seminate le cariossidi, l’agricoltore ottenne un primo raccolto……. .
La storia non ci erudisce sui poteri sopranaturali dell’agricoltore del Montana che hanno consentito di conferire attività germinativa a semi che presumibilmente dovrebbero avere qualche millennio.
Tralasciamo questa burla per allocchi sulla storia del Kamut che oggi il proprietario del marchio ignora e passiamo invece alle informazioni scientifiche sulla sua composizione in merito alla quale ci viene riferito che rispetto al grano normale il Kamut ha un migliore contenuto proteico, una più ricca concentrazione di minerali e di antiossidanti come il selenio.
E’ risaputo, ed esiste un ampia documentazione in merito, che la composizione del grano ed in particolare le sue proteine sono certamente anche sotto controllo genetico ma hanno un amplissima variabilità ambientale (condizioni pedoclimatiche, ambiente di coltivazione, annata, tecniche agronomiche, fertilizzazione ecc.). Ad esempio, le analisi delle proteine effettuate nell’ambito del monitoraggio sulla qualità del frumento duro in Italia, eseguite su campioni provenienti da diversi ambienti di coltivazione, hanno messo in evidenza contenuti proteici varianti per la varietà Simeto da un minimo di 10,6% ss ad un massimo di 16,0% ss (variabilità del 66,25%) , per la varietà Grazia da 11,9% ss a 18,5%ss (variabilità del 64,32%), per la varietà Duilio da 10,9% ss a 14,0%ss (variabilità del 77,85%).Considerata, pertanto,la rilevanza della variabilità ambientale, per poter affermare che una varietà di grano ha una attitudine ad accumulare uno o più componenti occorre effettuare prove di confronto varietali seconde regole ben note nella sperimentazione agraria (ad esempio blocchi randomizzati e analisi statistica). Esistono tali confronti per la composizione del Kamut?
Un discorso a parte merita il selenio. Questo elemento è un antiossidante e, come tale, giuoca un ruolo importante in nutrizione in quanto può contribuire a contrastare certe infezioni virali, a favorire la funzione della tiroide e a ridurre il rischio di cancro. La deficienza di selenio può portare a rischi cardiovascolari, artriti reumatoidi, pancreatiti, asma e decremento della risposta immunitaria (Rayman 2002a)
Contrariamente ad altri elementi di interesse nutrizionale, il selenio è però scarsamente influenzato da fattori genetici e la sua concentrazione nei frutti e semi nonché sulla pianta in generale è largamente dipendente dai livelli nel suolo in cui la pianta stessa è stata allevata (Cubadda F. 2012, Combs 2001, Lyons et al 2005).
Nel Nord Europa e particolarmente in Filandia, sono state riscontrate deficienze di selenio nella dieta a causa dei bassi livelli dell’elemento nel suolo e pertanto nei prodotti alimentari ivi prodotti. In Inghilterra la sostituzione del grano importato dal Canada e Nord America con produzioni locali ha portato ad un significativo decremento dell’intake di selenio (Adams et al 2002, Raymans 2002b).
Gli alti contenuti di selenio del Kamut, riportati da ricerche finanziate dalla dall’azienda americana su menzionata, sono il risultato di analisi effettuate su campioni provenienti dai suoli seleniferi del Saskatchewan (Canada) dove le varietà moderne di grano duro canadesi, coltivate nelle stesse condizioni, non avrebbero dato risultati diversi dal decantato super eroe Khorasan (Kamut).
Tuttavia, i pregi del Kamut non si fermano alla superiore qualità della sua composizione ma vanno ben oltre e sfiorano l’incredibile. Infatti, secondo studi (finanziati dalla Kamut Enterprise) il grano kharosan Kamut ha messo in evidenza rispetto al grano moderno (di origine sconosciuta nda) maggiori proprietà antiossidanti e anti infiammatorie, ha avuto un impatto positivo sui fattori di rischio cardiovascolare sia in volontari sia in pazienti con Sindrome Coronarica acuta, ha fornito protezione contro lo sviluppo di complicanze micro e macro vascolari in pazienti con diabete di tipo 2, ha significativamente diminuito i sintomi in pazienti con Sindrome del Colon Irritabile, ha avuto benefici effetti sulla microflora intestinale e sul profilo metabolico intestinale di volontari sani, ha messo in evidenza un effetto positivo su pazienti con Steatosi Epatica non alcolica (NAFLD). Insomma, il Kharosan Kamut è un vero miracolo della natura. Dal punto di vista botanico sarà pure un ecotipo di una specie di Triticum ma praticamente ci viene spacciato come un farmaco universale.
Un aspetto da sottolineare, non evidenziato dalla pubblicità ma chiaramente palese nelle pubblicazioni, riguarda il fatto che in tutta la sperimentazione effettuata sul kamut vengono usati prodotti derivati (soprattutto pane e pasta) integrali, con tenori di fibra intorno al 10% su ss che, come è noto, sono consumati in Italia da un ristretto numero di persone (5-7% dell’intera popolazione?). D’altro canto, è da rimarcare che diversi benefici attribuiti al kamut sono riportati dalla ricerca conseguenti alla presenza nella cariosside e quindi nel macinato integrale di sostanze bioattive ivi presenti (polifenoli antiossidanti, folati, carotenoidi, lignani, fitosteroli, elementi minerali come magnesio, selenio, rame e vitamine del complesso B) che sono patrimonio comune del kamut e dei cosiddetti grani moderni. Perché gli effetti benefici di detti componenti sarebbero di esclusiva proprietà del kamut? Perché è antico?. I farri ( monococum, dicocum e spelta)) sono più antichi del kamut. Allora?.
In questa sede non si vuole entrare nel merito sull’attendibilità delle ricerche finanziate dall’Enterprise Kamut, sarebbe troppo lungo, non rientra nelle finalità di questo scritto e comunque è un compito dei ricercatori che le hanno effettuate renderle credibili. Due osservazioni, tuttavia, una di merito e l’altra di carattere metodologico ci si sente obbligati a farle.
La prima richiede una breve introduzione. In generale, un effetto benefico su un marker di stato patologico (ad esempio eccesso di colesterolo) si accompagna, come già altrove sottolineato, all’azione svolta da una o più sostanze bioattive presenti nell’alimento. Restando sull’esempio del succitato colesterolo, l’orzo e l’avena, il germe dei cereali, l’olio del pesce hanno un benefico effetto sulla riduzione del suo contenuto nell’organismo dovuto all’azione svolta rispettivamente dai beta glucani, dai fitosteroli e dagli acidi grassi omega 3 presenti nei suddetti alimenti. Per il kharosan kamut non vi è un solo caso dove un suo peculiare componente sia stato individuato essere l’agente responsabile di uno dei molti mirabolanti risultati delle ricerche riportate in precedenza. Insomma, si dedurrebbe che il kharosan kamut sia tanto miracoloso quanto misterioso.
La seconda osservazione riguarda l’impostazione del piano sperimentale di confronto tra Karosan kamut e grano duro di varietà moderne che per evitare le conseguenze della variabilità ambientale sulla composizione descritta in precedenza, doveva correttamente essere attuato su campioni non di origine sconosciuta bensì provenienti da culture realizzate nelle stesse condizioni.
A tale proposito basti citare il lavoro “Role of Kamut brand Khorosan wheat in the conteraction of non-celiac wheat sensitivity and oxidative damege”, effettuata su modello animale (ratti), dove viene confrontata una pasta integrale di kamut con una pasta, sempre integrale, di un grano sconosciuto con una differenza nel contenuto di selenio superiore di 20 volte a favore del kamut (0,151 mcg% contro 0,031 mcg%), autore Carnevali e altri 11 coautori (una intera squadra di calcio, più l’allenatore ). Considerato il potere antiossidante del selenio e quanto prima abbiamo scritto su questo elemento, basterebbe la differenza del suo contenuto per attendersi dalla pasta con tale ricchezza in selenio una maggior di capacità di difesa dallo stress ossidativo. E’ da supporsi che il contenuto veramente basso in selenio della pasta di grano di origine sconosciuta abbia addirittura indotto un deficit nelle difese degli animali di controllo.
Circa le riserve sui risultati delle ricerche finanziate dalla Kamut Enterprise non si vuole commentare oltre e lasciare invece l’ultima parola agli autori del più gettonato studio realizzato con il contributo di detta impresa, effettuato su modello umano, dal titolo “Characterization of Kharosan wheat (Kamut) and impact of a replacement diet on cardiovascular risk factors: cross-over dietary intervention study, Autore E. Sofi e altri 11 coautori , Eur. J. Clin. Nutr.2013, 67(2):190-195.
Qui di seguito vengono riportate nella lingua originale con cui è stato scritto, le conclusioni della pubblicazione relativa allo studio in oggetto:
“Although the results are promising, the number of participants (22 in total) represents a limitation of this study. Further and larger studies need to be conducted before drawing any firm conclusion on the effects of such food product on human health. We are aware that changes in dietary and/or life style habits could have affected parameters investigated. However, before initiating, all subjects were instructed by physicians and by un expert dietician to maintain their usual lifestyle habits.
In conclusion the preliminary results of this study hypothesize that Kamut could afford benefits by improving metabolic lipid, antioxidant and inflammatory blood profiles. For the first time, the findings of this study provide date suggesting the benefits of Kamut. These results promote research to fully elucidate the link between specific components of the wheat and their beneficial effects in reducing several cardiovascular risk markers. However, results mustmbe interpreted with caution because significant differences obtained on the experimental arm but not on the control arm do not necessarily mean that treatment had a real effect. Further studies are needed to draw conclusive findings.”
In italiano “Quantunque I risultati siano promettenti, il numero dei partecipanti (22 in totale) rappresenta un limite di questo studio. Ulteriori e più estesi studi necessitano essere condotti per trarre ogni sicura conclusione sugli effetti di tale prodotto alimentare (kamut nda) sulla salute umana. Noi siamo consapevoli che i cambiamenti nella dieta e/o gli stili di vita potrebbero avere influenzato i parametri investigati. Tuttavia prima dell’inizio (dell’esperimento nda), tutti i soggetti erano stati istruiti dai medici e da un esperto dietista di mantenere il loro abituale stile di vita.
In conclusione, i preliminari risultati di questo studio ipotizzano che il kamut potrebbe produrre benefici effetti alla salute migliorando i lipidi metabolici, i profili antiossidanti e infiammatori del sangue. Per la prima volta, le scoperte di questo studio forniscono dati che suggeriscono i benefici del kamut. Questi risultati incoraggiano la ricerca per completamente chiarire il legame tra specifici componenti del grano e il loro benefico effetto nella riduzione di diversi markers del rischio cardiovascolare. Comunque, i risultati vanno interpretati con cautela perché le significative differenze ottenute nel braccio sperimentale e non nel braccio di controllo non necessariamente significano che il trattamento ha avuto un reale effetto. Ulteriori studi sono necessari per trarre conclusive scoperte”
Anche per un non esperto in attività di ricerca, emerge chiaramente dalla conclusione che gli autori dell’articolo si sono ben tutelati da possibili critiche sul loro lavoro sia usando il condizionale circa i “benefici effetti del kamut”sia in merito alle differenze riscontrate tra il grano Kharosan kamut e quello di controllo. Un addetto ai lavori legge oltre e capisce che la mancanza di un legame tra i componenti del grano e i dati ottenuti non permette ai ricercatori di trarre “conclusive findings” e li costringe a ricorrere alla classica formula della necessità di “ulteriori studi” che comunque la Kamut Enterprise si guarda bene dal promuovere.
La mancanza di un legame tra composizione ed effetti riscontrati contraddistingue tutte le ricerche intraprese con finanziamenti della Kamut Enterprise. E’ tuttavia apprezzabile che nel caso succitato i ricercatori, anche se debolmente, abbiano avanzato riserve e richiesto azioni di conferma, riserve del tutto ignorate in occasione di risultanze riguardanti altri lavori sperimentali.
Il marketing poi non ha tentennamenti e anche le ipotesi diventano realtà da gettare in braccio alla pubblicità.
A scanso di errate interpretazioni su quanto abbiamo in precedenza sottolineato, si vuole precisare che non sussiste alcuna avversione all’utilizzo commerciale da parte di un’impresa di specie o varietà antiche, obsolete, vintage, e/o dimenticate o comunque diverse da quelle tradizionali che abbiano una qualsiasi caratteristica positiva oppure all’integrazione di componenti o parti della cariosside adoperate al fine di migliorare la qualità del prodotto finale.
L’industria ha il diritto/dovere di innovare, sviluppare nuovi prodotti e di ricercare nuove soluzioni di carattere nutrizionale, dietetico, edonistico che rispondano ad esigenze e/o a richieste del consumo. Si ritiene, inoltre, non sia affatto riprovevole che l’eventuale innovazione sia oggetto di marketing. Chi investe ha il diritto di aver un ritorno e di comunicare nella maniera più efficace le proprietà dei ritrovati. D’altro canto però, è assolutamente imprescindibile che l’oggetto del messaggio sia corretto, trasparente, privo di ambiguità.
Senza enfasi, si vuole ricordare che i cereali sono compartecipi della storia dell’uomo, lo hanno accompagnato nella sua evoluzione, sono stati, sono tutt’oggi e lo saranno per il futuro i nostri alimenti di base; meritano, pertanto, il nostro rispetto e non possiamo permettere, tacendo, che siano oggetto di speculazione per fini commerciali.
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