Elogio del buon padre di famiglia
Si riaprono le scuole dopo l’estate, sui banchi deve tornare anche il Governo per varare le leggi economiche di fine anno. Si è parlato molto, spesso a ruota libera, di tanti argomenti e anche di economia, ma quest’ultima è stata relegata un po’ in secondo piano nel clima euforico dei primi “cento giorni”. Ora, però, si fa sul serio e le prospettive non sono incoraggianti. Gli indicatori economici sono appena sopra la linea di galleggiamento, i conti confusi, le risorse disponibili, tradizionalmente ridotte, incerte. Come accade nella stagione intermedia in questi periodi della politica la situazione è in attesa di chiarirsi, anche se non mancano segnali.
Al di là del “che cosa” il nuovo Governo possa realisticamente fare tenendo conto dei vincoli interni ed esterni, il punto è capire quale linea di politica economica adotterà. Nel gran parlare estivo non sono mancati cenni, anche se spesso contradditori e confusi. Così è entrato in campo come modello, positivo per alcuni, negativo per altri, il comportamento del buon padre di famiglia. Una figura che viene usata dai tempi dell’antica Roma, che la definì e la utilizzò passando poi sino a noi per la sua intuitiva chiarezza e la grande forza intrinseca, tanto che non è mai stata cambiata, se non con tentativi peggiorativi, presto accantonati. Ognuno sa come si comporti un padre di famiglia “buono” e cioè valido, capace, previdente e ansioso del bene dei suoi famigliari. Lo straordinario della definizione sta nel fatto che si adegua automaticamente all’evolvere dei tempi. Oggi è diverso da quello degli anni ’70 e ’80 del Novecento, da quelli del boom economico e, risalendo nel tempo, da quello che era all’origine nell’antica Roma, ma vale sempre.
Sorprende scoprire che sia stato trascinato nel dibattito economico da ombrellone tirandolo per la giacchetta (o per l’orlo della toga romana) come un esempio di protagonista superato. Non sono state criticate le sue virtù, ma si è detto che debba essere il modello dei comportamenti privati e non di quelli pubblici. La questione è semplice: il buon padre di famiglia viene giudicato ottusamente risparmiatore perché non spende più di quanto abbia a disposizione e quindi è bollato come poco orientato al futuro. Al contrario dello Stato che è (o meglio “sarebbe”) in grado di guardare avanti per tutti e, quel che più conta, di spendere anche allargando, nel caso di quello italiano, il già colossale e paralizzante debito pubblico esistente da coprire stampando buoni del Tesoro, visto che l’euro impedisce di farlo con la carta moneta.
Il sottinteso è preoccupante: per la nuova politica economica le scelte individuali non esistono più perché i comportamenti economici dei singoli li decide lo Stato. Si scontrano due diverse concezioni dell’economia e, senza nessuna decisione esplicita, ne viene imposta una che ha già dato pessimi risultati. Ci si chiede perché lo Stato debba decidere per ognuno di noi che cosa e come produrre, ma soprattutto come guardare al futuro, mentre a lui è lecito continuare a creare debito che peserà sulle spalle delle future generazioni spendendo come un marinaio ubriaco la sera dello sbarco.
Il buon padre di famiglia è diverso. Si attende che lo Stato si occupi delle regole, che non entri in campo da giocatore, non crei vincoli assurdi, non aumenti i costi delle attività. Teme proprio quello che gli vorrebbero imporre: l’eccesso di ingerenza nella vita privata. Si assume impegni per il futuro che sa di poter mantenere. Il suo comportamento ispirato al buonsenso ne spiega la durata nei millenni, al contrario delle politiche economiche fantasiose, ma inconsistenti, condannate a sfiorire presto lasciando danni e rovine.